I nostri anziani: ricchezza e gratuità

Passare dalla cultura dello scarto a quella della risorsa, dall’invisibilità a un protagonismo che si arricchisce del dono dell’età, di un’esperienza di vita, di una memoria storica

Maria Letizia: due occhi vivaci, non spenti. Pieni di vita, non rassegnati. Un viso da combattente. Desiderio di contare, non fare numero. Testimoniare instancabilmente. Essere ed esserci. La vita, piena di esperienze, a servizio di chi di strada ne ha ancora molta da fare. Lei è tutti i nostri anziani: oggi considerati veri “ammortizzatori sociali” per il profondo e nascosto lavoro a fianco di figli e nipoti, risorsa materiale e morale accanto a famiglie giovani e fragili che faticano ad arrivare a fine mese o a prendersi cura dei bambini per gli impegni lavorativi. Perché uno stipendio non basta e i bimbi hanno bisogno di attenzioni, accudimento e la pensione dei nonni accompagna le loro vite. Gli anziani, pilastri di una società che fatica ad aiutare e sostenere.

«Ma chi ci ascolta?». Questa la domanda con la D maiuscola, il grido di tanti. Non “chi ci accudisce” ma chi dona presenza, sguardo amorevole, attenzione che strappi all’invisibilità. L’anziano è una periferia esistenziale a tutti gli effetti, spesso in prigione nella sua stessa casa per l’impossibilità di muoversi, di avvicinarsi anche solo a una finestra per guardare la vita che scorre. Quale la fame di cui soffrono? La solitudine interiore. Visitare gli infermi è opera necessaria, meritoria ma si deve estendere a una malattia più profonda: la mancanza di senso, l’inutilità, il non essere o sentirsi efficienti, il timore di un percorso che si sta facendo faticoso, il non vedere più il proprio valore.

Occorre passare dalla cultura dello scarto a quella della risorsa, dall’invisibilità a un protagonismo che si arricchisce del dono dell’età, di un’esperienza di vita, di una memoria storica di passi compiuti e di cammini aperti sui quali oggi si avventurano le nuove generazioni. Perché l’anziano è generativo, è fecondo, continua a seminare anche nel nascondimento. Una gratuità contro la logica della produttività e della prestazione che soffoca e sfocia nell’indifferenza verso l’altro, che testimonia il valore dell’esperienza contro un virtuale che genera la perdita del contatto profondo. Una fertilità che incarna il versetto della Scrittura «gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date». E continuano a donare, instancabilmente.

L’anziano è risorsa ma incute anche paura: la sua fragilità chiama in causa la nostra, il suo incedere stanco e insicuro spinge alla riflessione sulla realtà di una vita che va concludendosi e che soffre della dimenticanza di molti. La nostra debolezza diventa la prigione in cui i nostri anziani rischiano di rimanere chiusi. E davanti alla periferia la chiesa di Papa Francesco deve farsi nuovamente ospedale da campo, richiamata dall’urgenza e dall’emergenza, deve rispondere con una pastorale nuova che arrivi a contemplare tutte le fasce dell’arco della vita fino all’accompagnamento di una fragilità che spesso si consuma in centri anziani per il bisogno di sentirsi ancora vivi e vitali.

Occorre una pastorale che si faccia visita, che bussi alle porte spesso chiuse a più mandate per la paura e l’isolamento, che si faccia compagna di un incedere stanco ma ancora ricco di gesti di attenzione, cura, protezione, accudimento. Il Vangelo deve diventare itinerante nel luogo dove l’anziano vive e attende una parola di conforto e una presenza amorevole, in case dove sosta davanti alla televisione ma manca del contatto umano, del sorriso, della carezza. Un Vangelo che viva accanto ai letti di chi fatica ma che ha ancora bisogno di essere visto, di ricevere un abbraccio, un’ora di ascolto, una vicinanza. Non si può pensare né pretendere che l’anziano prenda il proprio “lettuccio” e partecipi alle funzioni: la casa deve diventare la mensa dove si celebra l’Eucaristia della vita e la condivisione di una Parola che instancabilmente si fa annuncio soprattutto nel momento più delicato.

La “Chiesa di strada” deve bussare alle porte, a quelle più chiuse, a quelle più marginali, deve includere e non chiudere riscoprendo e valorizzando la ricchezza dell’anziano, la fecondità dei suoi gesti, del percorso fatto, di una vita che non si conclude con la pensione ma si arricchisce nel servizio. Di un anziano che diventa custode di un cenacolo di preghiera continuo, che accompagna in silenzio la vita di tanti, l’orante che prepara il cammino ai giovani, che sostiene le famiglie, le vite appena sbocciate, in uno scambio generazionale che è flusso d’amore, servizio di chi vive la difficoltà o gli incerti di una vita ancora da disegnare: guide esperte per la salita in cordata verso la vetta.

Non dimentichiamoci di investire su comunità parrocchiali che siano realmente missionarie in viaggio dove l’anziano vive, lotta, soffre, spera nonostante tutte le sue complessità, spesso con un cuore più aperto e malleabile all’azione del Cristo perché libero da tante rigidità, intransigenze e durezze a favore di un’accoglienza profonda, caloroso, tenera dell’altro e della sua fragilità. Anziani che diventano patrimoni di ricchezza e luoghi in cui riposarsi e ritrovarsi. A quale bisogno dobbiamo rispondere? Lo stesso di tutti noi. L’amore. Che si fa ascolto, soccorso, sostegno per affrontare le prove, incoraggiamento contro ogni timore, soprattutto la paura dell’invisibilità, di terminare una vita nel silenzio e nella dimenticanza, di passare quel confine da soli. Allora potranno dimenticare qualche ricordo, inciampare in gesti e parole o perdere la fluidità dei movimenti ma non il dono della vita testimoniata ogni giorno con gli occhi rivolti alla speranza e all’amore donato senza riserve. Piccoli santuari che custodiscono il Cristo fragile e lo testimoniano al mondo. (Alessandra Bialetti, Pedagogista Sociale e Consulente della coppia e della famiglia)

25 ottobre 2019