#dilloinitaliano È più bello…
L’uso indiscriminato di centinaia di termini inglesi ha messo in minoranza la nostra lingua con risultati che spesso sconfinano nel ridicolo
«Molti (spesso oscuri) termini inglesi che oggi inutilmente ricorrono nei discorsi della politica e nei messaggi dell’amministrazione pubblica, negli articoli e nei servizi giornalistici, nella comunicazione delle imprese, hanno efficaci corrispondenti italiani – ricorda Annamaria Testa -. Perché non scegliere quelli? Perché, per esempio, dire “form” quando si può dire modulo, “jobs act” quando si può dire legge sul lavoro, “market share” quando si può dire quota di mercato? Perché dire “fashion” invece di moda, e “show” invece di spettacolo?» . Già, perché? Da quando è meno terribile andare in default piuttosto che finire in bancarotta? Poter contare su un endorsement garantisce maggiori possibilità di successo confronto a un più convenzionale seppur incondizionato appoggio? Una escalation del conflitto è più preoccupante di un inasprimento? E se mi viene data una deadline, la rispetterò con più attenzione rispetto a un’ordinaria scadenza?
La sciatteria linguistica è, però, purtroppo abitudine diffusa. Ricordo un caro amico che giustificò la sua assenza a un convegno in cui avrebbe dovuto essere relatore dicendo che era un evento troppo “cheap”. È probabile che ammettere semplicemente di aver dato la sua disponibilità a partecipare a un simposio piuttosto mediocre sarebbe stato mortificante per il suo ego. Sosteniamo #dilloinitaliano, perché in fondo, conoscendo come vanno le cose nel Paese di “Verybello”, resta il fondato dubbio che, al termine della mobilitazione, ci possa essere qualcuno che la proporrà in un workshop come una digital case history di successo.