Zuppi: «Essere cardinale? È servire la comunione»

Intervista all’arcivescovo di Bologna, per 3 anni ausiliare a Roma, che riceverà la porpora nel Concistoro del 5 ottobre. «Per la pace serve un impegno personale»

Tra i dieci cardinali ai quali Papa Francesco imporrà la berretta sabato 5 ottobre c’è anche Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, già vescovo ausiliare a Roma, che celebrerà la prima Messa da cardinale quella stessa sera alle 20.20 in piazza Santa Maria in Trastevere.

La diocesi felsinea è tradizionalmente sede cardinalizia ma Papa Francesco ci ha abituato a novità in questo tipo di scelte. Per questo chiediamo a monsignor Zuppi: si aspettava la sua nomina?
No, proprio per i motivi a cui fa riferimento. In realtà nessuno se l’aspettava, a Bologna c’era una certa accettazione di questo modo di agire del Santo Padre.

E come l’ha accolta?
Con molta sorpresa, con stupore ma anche con senso di responsabilità. È una richiesta di aiuto alla Chiesa in questo servizio di comunione.

Lei è stato parroco a Santa Maria in Trastevere e poi a Torre Angela. Quali differenze vede tra centro e periferia?
Le differenze sono tante. Sono esperienze che hanno avuto una grande importanza nella mia vita. A Trastevere ho riscontrato la fatica di una città cambiata. Il centro storico è un luogo di riferimento ma anonimo, turistico, una grande ristorazione diffusa, una vetrina con scarso tessuto sociale e vitalità. È uno dei volti della città mentre Torre Angela è la città, quella di un quartiere di 90mila persone. La Chiesa deve essere presente e offrire, come una fonte, riferimenti spirituali a tutti.

L’opzione per i poveri è sempre stata tra le sue peculiarità. È nei ricordi di tutti il pranzo con il Santo Padre a San Petronio di due anni fa. Cosa le è rimasto di quell’evento?
La certezza di un grande servizio spirituale. Qualcuno si pone il problema della sacralità del luogo. Me lo pongo anch’io, non solo qualche pseudoguardiano del pretorio. Questa sacralità va difesa riempiendola di significato. Quel pranzo è la sacramentale rappresentazione di ben altra Eucaristia, mi aiuta a vedere e comprendere meglio il Pane spezzato e il mistero di Cristo presente nei poveri. Che non sono un problema di una vocazione particolare ma di ogni cristiano. Il Vangelo lo dice chiaramente: saremo giudicati su questo. Poi ho avuto la grazia di crescere in una realtà che non mi ha fatto vedere i poveri come qualcosa di ideologico o sociologico, me li ha resi vivi, familiari, una presenza continua. Questo lo serbo come un debito. Ma non esistono gli specialisti dei poveri. Nostro Signore ci vuole “polispecialisti”, sul piano spirituale e materiale.

Cosa rappresenta per lei la Comunità di Sant’Egidio?
Tanta parte della mia vita, a cui devo tanto, come ai miei genitori, alla mia famiglia. Sant’Egidio mi ha fatto conoscere un Vangelo vivo, me ne ha fatto comprendere la bellezza.

Lei è cittadino onorario del Mozambico per il ruolo ricoperto nelle trattative di pace. Il Papa, nel suo recente viaggio in Africa, ha detto: «Abbiate il coraggio della pace». Cosa significa questo nel nostro Paese, lacerato da tante divisioni?
Che non dobbiamo dare per scontata la pace, mai. Serve un’opera di “ecologia”, un lavoro affidato a tutti i cristiani, a tutti gli artigiani di pace. Poi deve esserci l’azione tecnica per risolvere i tanti conflitti aperti, dei quali spesso vediamo le conseguenze ma per i quali fatichiamo a capire che serve un impegno personale.

Per oltre tre anni è stato ausiliare a Roma. Cosa porta con sé di quella esperienza? Quali differenze ha riscontrato con la sua nuova diocesi?
Mi sono portato tanto ma senza applicare le stesse ricette perché ogni realtà ha la propria storia e la propria tradizione. Noi dobbiamo servire la Chiesa e non servirci di essa. Faccio un esempio: a Roma le parrocchie hanno una media di 12mila fedeli, a Bologna i numeri sono molto più bassi. Questo per certi versi è un vantaggio ma non è sostenibile perché non abbiamo preti a sufficienza. La mia esperienza non mi fa preoccupare. Pian piano arriveremo anche a questo.

Torna a Roma da cardinale, cioè come più stretto collaboratore del Papa. Come intende interpretare questa nuova responsabilità?
Non cambierà molto perché continuerò soprattutto a occuparmi della Chiesa di Bologna. Il grande vantaggio sarà che potrò servire più da vicino chi presiede nella comunione. Sono sempre più convinto che nella Chiesa serve comunione. Crescendo nella responsabilità, nella complessità e nella “politicità” la vera sfida sarà questa: aiutare il Papa a essere garante della comunione.

1° ottobre 2019