Suicidio assistito, i medici: «La nostra professione tutela la vita»

Il presidente della Federazione nazionale Filippo Anelli si richiama al giuramento di Ippocrate: «Per deontologia, non possiamo collaborare. Intervenga un pubblico ufficiale»

Richiama il giuramento di Ippocrate, padre della medicina, del 400 a.C., Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo) per motivare la sua posizione rispetto al pronunciamento della Corte Costituzionale sul suicidio assistito emesso ieri, 25 settembre. «La nostra professione tutela la vita e basta – sostiene il medico, che è a capo della Federazione dal 2018 -, per questo sarebbe innaturale per i medici collaborare all’eutanasia, non ci è mai successo né capitato di farlo: la morte non è un presidio terapeutico». Rispettare il giuramento fatto «di perseguire la difesa della vita con responsabilità e costante impegno scientifico», senza «compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona», prosegue, significa che «i medici possono stare accanto al malato fino alla fine ma non devono collaborare in alcun modo al suicidio assistito» perché «lo scopo del medico è combattere la malattia, alleviare la sofferenza e allontanare la morte il più possibile».

suicidio assistito eutanasia fine vitaQuello che la Fnomceo chiede è «il rispetto da parte dello Stato per la nostra professione: i cittadini che scelgono il suicidio assistito non saranno mai abbandonati dai medici ma chiediamo che non siano i dottori a dare avvio alla procedura che porta alla morte bensì un pubblico ufficiale che abbia potuto ben analizzare e studiare il singolo caso». Questo perché, appunto, per deontologia i medici «non possono collaborare al suicidio assistito e ciò sarà possibile dal momento che è il malato che dovrà assumere il farmaco letale sciolto in un bicchiere», dice ancora Anelli richiamando un’altra figura della tradizione greca: Socrate e la coppa da cui assunse la cicuta che gli procurò la morte.

Da qui un’altra puntualizzazione del medico che guida la Fnomceo e che proprio lo scorso 20 settembre, in occasione dell’udienza del Papa alla Federazione, aveva auspicato «uno sforzo particolare di tutta la società civile al fine di ripristinare la giusta gradualità dei valori, riconoscendo al cittadino la titolarità del diritto alla salute e al medico il ruolo di professionista che la tutela». Con il suo pronunciamento la Corte costituzionale «non ha, di fatto, eliminato il reato ma lo ha depenalizzato in casi molto particolari – nota Anelli -: il malato deve essere terminale, sopravvivere grazie all’aiuto di macchinari, essere in preda a grandi sofferenze ed essere cosciente»; a dire che «il paziente che richiederà il suicidio assistito dovrà presentare queste determinate caratteristiche» e che se «spetterà al medico definirle e accertarle, specie in merito alla capacità di intendere e di volere», dovrà poi essere «un’altra figura adeguatamente informata a procedere oltre, come se avvenisse un passaggio del testimone».

Ancora, Anelli spera che «governo e Parlamento si adoperino quanto prima per fare una legge per disciplinare il suicidio assistito e per stabilire che i medici devono occuparsi solo dei trattamenti sanitari», tenendo assolutamente conto «dell’obiezione di coscienza» perché «bisogna tutelare i colleghi che ritengono l’eutanasia incompatibile con i propri convincimenti racchiusi nella coscienza». Per quanto riguarda la percezione pubblica e sociale del delicato tema, il presidente della Fnomceo pensa che «si aprirà un dibattito: da una parte c’è il rispetto della vita umana, dall’altro l’autodeterminazione dell’individuo e io temo che prevarrà sempre di più quest’ultimo concetto».

27 settembre 2019