Il Papa e l’invito a una comunicazione fatta di «parole vere»

Francesco ha incontrato i membri del dicastero per la Comunicazione e i membri dell’Ucsi, nel 60° della nascita dell’associazione

Francesco lo ha spiegato con cura ai partecipanti alla plenaria del dicastero per la Comunicazione, ricevuti in udienza nella giornata di ieri, 23 settembre: quello di comunicatori «non è un lavoro di ufficio, come la pubblicità per esempio. Voi – ha detto – siete specialisti della comunicazione. Si comunica con l’anima e col corpo, con la mente, col cuore, con le mani, si comunica con tutto. Il vero comunicatore dà tutto, da tutto se stesso. Mette tutta la carne sulla griglia, non risparmia per sé». E per il Papa, «la comunicazione più grande è l’amore». Proprio per questo, «una delle cose che voi non dovete fare – ha ammonito – è pubblicità. Non dovete fare proselitismo. Non è cristiano fare proselitismo. Benedetto XVI l’ha detto con una chiarezza rara: la Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione». E ancora: «Se volete comunicare verità senza bontà e bellezza, fermatevi, non fatelo – ha esclamato -. Se volete comunicare senza coinvolgervi, senza testimoniare con la propria vita, la propria carne, fermatevi, non fatelo! C’è sempre la firma della testimonianza in ognuna delle cose che facciamo: testimoni cristiani vuol dire cristiani, martiri. È questa la dimensione martoriate della nostra vocazione».

Ai membri del dicastero, nel suo discorso a braccio, Francesco ha svelato anche il segreto di una comunicazione «autenticamente cristiana»: si tratta di «passare dalla cultura dell’aggettivo alla teologia del sostantivo». Il rischio altrimenti è quello di dimenticare di essere fratelli. L’antidoto indicato dal pontefice è una comunicazione «austera ma bella». Di una bellezza che «non è rococò ma si manifesta a se stessa, dà se stessa come sostantivo». Essere comunicatori cristiani allora significa «comunicare con la testimonianza, comunicare coinvolgendosi nella comunicazione, comunicare con i sostantivi, le cose, comunicare da martiri, cioè da testimoni di Cristo. Imparare il linguaggio dei martiri e degli apostoli».

Nelle parole del Papa anche un fermo no alla «rassegnazione che tante volte entra nel cuore dei cristiani: vediamo il mondo in modo pagano». L’invito allora è a «non avere vergogna di essere pochi, non avere paura del futuro della Chiesa. Siamo una Chiesa di pochi, come il lievito. La rassegnazione, la sconfitta culturale viene dal cattivo spirito, la lamentela della rassegnazione. Siamo pochi si ma con la voglia di “missionare” – l’esortazione del pontefice -, di fare vedere agli altri chi siamo con la testimonianza», sulla scorta di Francesco d’Assisi, che mandava i suoi frati a predicare dicendo loro: «Predicate il Vangelo, se fosse necessario anche con le parole».

Sempre nella mattinata di ieri il Papa ha ricevuto in udienza i membri dell’Ucsi (Unione cattolica stampa italiana) in occasione del 60° anniversario della nascita dell’associazione. A loro ha rivolto l’invito a «essere voce della coscienza di un giornalismo capace di distinguere il bene dal male, le scelte umane da quelle disumane», rimanendo «liberi di fronte all’audience», capaci di «parlare con lo stile evangelico: “sì, sì’, no, no, perché il di più viene dal maligno”». Il giornalista, ha osservato il pontefice, è «il cronista della storia» ed «è chiamato a ricostruire la memoria dei fatti, a lavorare per la coesione sociale, a dire la verità a ogni costo».

La tesi del Papa è che «la comunicazione ha bisogno di parole vere in mezzo a tante parole vuote». In questo «voi – ha detto ai membri dell’Ucsi – avete una grande responsabilità: le vostre parole raccontano il mondo e lo modellano, i vostri racconti possono generare spazi di libertà o di schiavitù, di responsabilità o di dipendenza dal potere». Ben presente, nelle parole del pontefice, anche il peso dell’editoria e delle «convenzioni finanziarie», nel lavoro dei giornalisti. «Da molti vostri predecessori – ha osservato – avete imparato che solo con l’uso di parole di pace, di giustizia e di solidarietà, rese credibili da una testimonianza coerente, si possono costruire società più giuste e solidali. Purtroppo però vale anche il contrario».

La consegna affidata ai giornalisti dell’Ucsi è quella di «dare il vostro contributo per smascherare le parole false e distruttive. Vi siete riuniti per fare memoria di una “vocazione comunitaria”, frutto del sogno dei fondatori, che è quella di essere, come è scritto nel vostro Statuto, “un’associazione professionale ed ecclesiale che trova ispirazione nel servizio alle persone, nel Vangelo e nel Magistero della Chiesa” – le parole di Francesco -. Vi incoraggio a portare avanti questa missione attingendo sempre linfa dalle radici che vi hanno fatto nascere: la fede, la passione per la storia degli uomini e la cura delle dimensioni antropologica ed etica della comunicazione».

24 settembre 2019