“Outside the Wall”, i Pink Floyd nel tempo dei muri

Il brano conclusivo dell’opera rock portata al successo 40 anni fa dal gruppo britannico

Secondo un’esperta i muri esistenti nel mondo sarebbero 77, ma chissà se è così semplice avere un elenco aggiornato. Quello che è certo è che dalla fine della seconda guerra mondiale il loro numero è aumentato dieci volte, e mai come negli ultimi anni il tema è all’ordine del giorno del dibattito pubblico.

Chi ha i capelli grigi ha in mente il muro di Berlino con le sue nefaste conseguenze. I muri, tuttavia, con materiali diversi ma significato univoco (separazione, mancata accoglienza, “cultura dello scarto”, come la definisce Papa Francesco), “fioriscono”. Quello eretto da Israele verso i territori palestinesi, quello di filo spinato tra India e Pakistan e Bangladesh, muri in Europa tra Grecia e Turchia, la recinzione tra Ungheria e Serbia, la rete metallica fatta innalzare dalla Spagna per le enclave di Ceuta e Melilla lungo la costa settentrionale del Marocco, e così via. E poi c’è il progetto di Trump di far costruire un muro di oltre tremila chilometri al confine con il Messico, che andrebbe a rafforzare la barriera in lamiera già eretta oltre vent’anni fa dagli Stati Uniti.

Sul tema dei muri, che non sono solo quelli fisici, proprio quarant’anni fa è uscito un capolavoro della musica rock (e non solo). Parliamo ovviamente di “The Wall” dei Pink Floyd, datato novembre 1979. Un disco – ma sarebbe più corretto dire un’opera rock – che ha fatto epoca. “Regista” del lavoro fu Roger Waters, che pone al centro della storia il “muro” psicologico eretto dal protagonista Pink. Non si parlava nell’album di quei muri che abbiamo evocato all’inizio o delle barriere spesso al centro delle cronache attuali con i “porti chiusi” ma questi fatti non sono estranei al discorso di “The Wall”. I muri sono sempre dannosi. Del resto, lo stesso Waters due anni fa manifestò l’intenzione di portare la musica di “The Wall” al confine tra Stati Uniti e Messico, sul luogo di quel muro tante volte evocato da Trump. Quasi un bis del celebre concerto del luglio 1990 a Berlino l’anno successivo all’abbattimento del muro che divideva le due Germanie. “The Wall”, disse Waters, «sarebbe molto rilevante ora con Mr. Trump e tutto questo parlare di costruire muri e creare quanta più inimicizia possibile tra le etnie e le religioni».

Oggi la nostra attenzione cade in particolare su “Outside the Wall”, la canzone che conclude l’album del gruppo britannico. Ad aprirla, il suono di mattoni che cadono al suolo, quei mattoni evocati dal brano più celebre dell’album, “Another brick in the Wall”, che coinvolse anche il coro di una scuola inglese. Qui, in “Outside the Wall”, è un coro di voci bianche ad accompagnare la voce di Roger Waters. «Quelli che davvero ti amano / vanno e vengono al di là del muro. / Alcuni mano nella mano, alcuni riuniti in gruppi. / Quelli dal cuore tenero e gli artisti / cercano di abbatterlo. / E quando ti avranno dato il meglio di loro, / qualcuno barcollerà e cadrà / Dopotutto non è facile / picchiare il cuore contro il muro di un pazzo».

Quelli che davvero amano, potremmo dire, si impegnano ad abbattere i muri, le barriere fisiche, culturali e politiche innalzate per respingere chi sta dall’altra parte e chiede aiuto, spesso proprio “gli ultimi” della società. Il pensiero va agli “ultimi” evocati ieri, 8 luglio, da Papa Francesco nella Messa celebrata a sei anni dalla visita a Lampedusa. «Gli “ultimi” che ogni giorno gridano al Signore, chiedendo di essere liberati dai mali che li affliggono. Sono gli ultimi ingannati e abbandonati a morire nel deserto; sono gli ultimi torturati, abusati e violentati nei campi di detenzione; sono gli ultimi che sfidano le onde di un mare impietoso; sono gli ultimi lasciati in campi di un’accoglienza troppo lunga per essere chiamata temporanea».

9 luglio 2019