Nel 2018, la stima della spesa media mensile delle famiglie residenti in Italia è di 2.571 euro mensili in valori correnti, sostanzialmente invariata rispetto al 2017 (+0,3%), quando era cresciuta dell’1,6% sul 2016. Siamo ancora lontani però dai livelli del 2011 (2.640 euro mensili), cui avevano fatto seguito due anni di forte contrazione. Sono i dati diffusi dall’Istat nel rapporto su “Le spese per consumi delle famiglie” nel 2018. «Considerando la dinamica inflazionistica (+1,2% la variazione dell’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale), in termini reali la spesa diminuisce dello 0,9%, segnando una contrazione per la prima volta dopo la moderata dinamica positiva registrata dal 2014 al 2017», spiegano i ricercatori, aggiungendo che «se si osserva il valore mediano, ovvero il livello di spesa per consumi che divide il numero di famiglie in due parti uguali, il 50% delle famiglie residenti in Italia ha speso nel 2018 una cifra non superiore a 2.153 euro, invariata rispetto ai 2.154 euro del 2017».

Sostanzialmente immutata rispetto all’anno precedente la composizione della spesa: ad assorbire la quota più rilevante (il 35,1% della spesa totale) è ancora l’abitazione, seguita dalla spesa per prodotti alimentari e bevande analcoliche (18,0%) e da quella per trasporti (11,4%). In particolare, la spesa per prodotti alimentari e bevande analcoliche è pari a 462 euro mensili, «senza differenze significative rispetto ai 457 euro del 2017». Anche nel 2018, rilevano dall’Istat, si osservano «i divari territoriali ben noti, le cui origini vanno ricercate in diversi fattori di natura economica e sociale: redditi, prezzi al consumo, abitudini e comportamenti di spesa». Nel Nord-ovest si spendono mediamente, in termini assoluti, circa 800 euro in più che nelle Isole – il 38,6% in più in termini relativi – «ma il divario scende sotto il 40% per la prima volta dal 2009 (nel 2017 era al 45%)».

Un altro divario da registrare è quello relativo alla spesa media delle famiglie con stranieri rispetto a quelle di soli italiani: 1.984 euro per i nuclei con almeno uno straniero, a fronte dei 2.627 euro spesi dalle famiglie di soli italiani, pari a un 24,5% in meno (644 euro); divario che sale al 35,3% in meno (927 euro) se si considerano le famiglie di soli stranieri. Ancora, dal 2013, diminuisce lievemente per la prima volta il rapporto tra la spesa delle famiglie più abbienti e quella delle famiglie meno abbienti: nel 2018 il valore si è attestato su 5,1 a fronte del 5,2 nel 2017, del 5,0 nel 2016, del 4,9 sia nel 2015 sia nel 2014 e del 4,8 nel 2013.

Per Francesco Marsico, responsabile area nazionale di Caritas italiana, «è difficile fornire una stima su quanto una famiglia povera in Italia spenda di meno rispetto ai 2.571 euro mensili stimati dall’Istat». Il motivo è semplice: «Si modifica la composizione del paniere e, paradossalmente, vegetali, carne e pesce diminuiscono sensibilmente per le persone povere rispetto al paniere di chi ha disponibilità economiche. Sul paniere complessivo delle persone povere – aggiunge Marsico – la parte più drammatica che i nostri Centri di ascolto ravvisano è la difesa del bene casa con bollette, affitti. Solo quello che residua va poi a finire sui beni alimentari perché la grande questione per una famiglia povera – a meno che non sia in un piccolo centro e non abbia la casa di proprietà – è evitare di essere sfrattati e perdere la propria abitazione».

A spendere di meno, evidenzia il responsabile area nazionale di Caritas italiana, sono le famiglie medie del Sud che, «se vivono in piccoli centri, possono contare su un minimo di tenuta della “economia informale” con scambi, autoproduzione». Invece, «nei centri urbani la spesa per l’abitazione la fa da padrona». I dati mettono poi in luce diseguaglianze di spesa tra famiglie abbienti e meno abbienti: «Il rapporto 5 a 1 obiettivamente fa riflettere. In genere si dice che la spesa alimentare è abbastanza standard, non dovrebbe avere grosse differenze. I dati ci dicono che il tema delle diseguaglianze è così pervasivo nel Paese che anche nella spesa per gli alimentari c’è un distacco enorme tra i consumi delle persone più ricche e più povere. Una questione seria – rileva – per la tenuta sociale del Paese».

Il tema della povertà però, evidenzia ancora Marsico, tocca anche le regioni del Nord, in particolare «i lavoratori poveri stranieri: persone con una collocazione regolare sia per residenza che per mercato del lavoro ma che stanno in posizioni di “scala sociale” molto bassa». Famiglie che «ce la fanno appena, devono ridurre fortemente la loro spesa sui beni alimentari. E questo rappresenta un problema significativo per chi ha minori relativamente all’adeguatezza dell’alimentazione». Proprio per questo «come Caritas e Banco Alimentare, anche attraverso i tentativi di pressione verso il ministero dell’Agricoltura, siamo impegnati per cercare di fornire quote di “fresco” (verdura, frutta) per compensare prodotti che nei centri urbani diventano costosi. Rispetto a questo – lo dico in maniera non strumentale o polemica – il fatto che il Reddito di cittadinanza escluda le famiglie immigrate con residenza inferiore ai 10 anni incide pesantemente sull’accesso a certe condizioni soprattutto per quanto riguarda minori che vivono in nuclei famigliari con problematiche economico-sociali significative».

12 giugno 2019