Una “lezione” diversa

1978, su Roma Sette la testimonianza di una studentessa di Scienze politiche che attendeva Aldo Moro la mattina del 16 marzo per la discussione della tesi

Riferire un evento, o commentare una esperienza che in prima persona ci coinvolge, non sempre è facile. Si assommano nella mente immagini e ricordi che poi, a loro volta, si confondono con una realtà macabra, presente, quotidiana. Così come i flash, a volte impietosi, dei fotoreporter lampeggiano sulle immobili figure di una strage, gli sprazzi lucidi della memoria colorano i momenti trascorsi con il nostro professore di diritto e procedura penale, Aldo Moro, e anche con gli uomini della sua tragica scorta, che ci erano divenuti amici.

La nostra esperienza è stata quella di aver vissuto con lui un rapporto didattico diverso; diverso dal clima che aleggia nell’università, diverso proprio perché più umano, più comprensivo delle reciproche esigenze di educatore e di discenti. Vorrei parlare di una delle tante lezioni tenute dal prof. Aldo Moro, nella facoltà di Scienze Politiche; non la solita lezione illustrativa dei dettami della scienza penale bensì un dialogo aperto che continua oltre l’orario, uno scambievole intreccio di opinioni più o meno concordi, sui molteplici argomenti della giornata.

Ancora oggi nell’assillo di sapere dove sia il Professore, è bello ricordare come nonostante il clima scolastico lassista e noncurante, vi sia ancora chi crede che non ci si debba ridurre alla stringata ora di lezione o al momento dell’esame per conoscersi, per parlare, per vivere insieme la situazione universitaria, e soprattutto per cercare con gli strumenti più semplici e più umani di affrontare le conseguenze del disordine culturale che ci sommerge. L’umanesimo scolastico, in questo modo, ha trovato il tramite per perpetuarsi attraverso gli stessi insegnamenti penalistici, attraverso il ragionamento dottrinato improntato su tutto ciò che di più grande vi è nella vita: la stima, l’amicizia; il rispetto dell’opinione e della parola altrui.

Forse le figure letterarie dei maestri descritti da De Amicis; forse e soprattutto l’immagine evangelica del maestro che unisce la scienza e la morale nelle parole che comunica ai suoi discendenti; senza retorica, l’immagine del vero insegnante che attraverso l’esperienza dei suoi studi e della sua vita trasferisce il proprio «sapere» agli altri discutendo i problemi, aiutando nelle difficoltà. È come si nota un’immagine diversa dello statista, dell’uomo politico, che primariamente ricorre alla nostra mente in questi momenti; un’immagine umana, vicina ai problemi dei giovani, che suggerisce l’amore, la fratellanza, la fede in un avvenire migliore (Tiziana Mazzarocchi)

2 aprile 1978