Aveva un mese e mezzo il piccolo nigeriano morto in un quartiere collinare di Genova dopo che gli era stata praticata in casa la circoncisione. A nulla è servito l’intervento del 118, chiamato nel cuore della notte. Una circoncisione praticata per ragioni culturali, con l’aiuto di una terza persona, intervenuta accanto alla mamma e alla nonna. Aperto un fascicolo per omicidio preterintenzionale. È il terzo caso in pochi mesi: pochi giorni fa in provincia di Reggio Emilia un altro bimbo di 5 mesi è morto in casa in seguito a una circoncisione praticata dai genitori mentre nel mese di dicembre a Monterotondo, vicino a Roma, ha trovato la morte uno dei due fratellini, anche loro nigeriani, sottoposti a circoncisione in casa. L’altro è stato salvato in ospedale.

«La tragica notizia della morte di un bambino dopo un intervento di circoncisione richiede alcuni chiarimenti», afferma in una nota il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni. L’aumento dei casi in cui la circoncisione ha provocato «serie e terribili conseguenze», riflette, «è dovuto al fatto che questa pratica, diffusa in diverse tradizioni religiose e culture, è stata effettuata da personaggi privi delle competenze necessarie, spesso provenienti da Paesi stranieri. Da parte nostra – prosegue Di Segni – riteniamo imprescindibile che la questione delle circoncisioni rituali vada regolata per garantire e coniugare il diritto religioso e il diritto alla salute del bambino».

Le comunità ebraiche, riferisce il rabbino capo, praticano la circoncisione da millenni in Italia «nel rispetto delle regole di tutela della vita e della salute dei bambini». Questo perché «la tradizione ebraica impone che la circoncisione sia effettuata solo da personale qualificato e riconosciuto dalle autorità rabbiniche. Siamo autoregolamentati nel pieno rispetto della legge e della incolumità dei neonati. Non chiediamo sovvenzioni pubbliche per l’esecuzione dei nostri riti». Un’esperienza dunque che la comunità ebraica, attraverso il rabbino capo, mette «a disposizione dei legislatori», nella convinzione che «e decisioni opportune debbano essere condivise con le autorità religiose, evitando iniziative che potrebbero produrre l’effetto contrario aumentando i fenomeni clandestini e incontrollati».

Anche il Centro islamico culturale d’Italia ha lanciato nei giorni scorsi il suo appello ai musulmani che vivono nel nostro Paese affinché si avvalgano unicamente di strutture sanitarie pubbliche o private per svolgere la circoncisione rituale, evitando circoncisioni «fatte in casa o in ambienti tutt’altro che sterili, da persone non qualificate e che mettono a rischio di morte o di malformazioni gravi i bambini, spesso piccolissimi», ha affermato il segretario generale Abdellah Redouane. La Grande moschea di Roma ha quindi rilanciato la richiesta di inserire la circoncisione rituale nei Livelli essenziali di assistenza, di modo che sia fornita a chiunque ne faccia richiesta a costi accessibili e in ambiente protetto. Richiesta condivisa anche dalla Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri.

Secondo i dati riferiti dall’Associazione medici di origine straniera in Italia (Amsi) sono circa 11mila i bambini residenti in Italia che vengono circoncisi ogni anno e 5mila di questi interventi vengono effettuati in Italia. Tra questi però un numero che va tra i 1.400 e i 1.750 interventi avviene al di fuori delle strutture sanitarie, in condizioni precarie e inadeguate. La pratica della circoncisione rituale maschile infatti «non rientra nei Livelli essenziali di assistenza e «sul territorio nazionale c’è una grande eterogeneità di accesso alla procedura», spiega Simona La Placa, responsabile del gruppo di lavoro nazionale per il bambino migrante della Società italiana di pediatria. Concretamente, significa che «ci sono realtà in cui è possibile eseguirla in ospedale, in day hospital o day surgery, e altre in cui non è possibile». E «dove non ci sono risposte o dove l’unica possibilità è rivolgersi ai privati, con costi elevati, le famiglie intervengono in maniera casalinga con il rischio di complicanze a causa di procedure eseguite da personale non medico in condizioni non di sicurezza per il bambino. Gli esiti – evidenzia La Placa – possono esporlo a infezioni o emorragie o metterlo in pericolo di vita». Non solo: alcune strutture pubbliche consentono la pratica in ospedale solamente al compimento dei 4 anni di età, una soglia troppo alta che contribuisce ad accrescere il fenomeno della clandestinità.

Dopo l’episodio di Genova, Foad Aodi, fondatore e presidente dell’Associazione medici di origine straniera oltre che consulente dell’Ordine dei medici di Roma, chiede un intervento un incontro urgente con il ministro della Salute Giulia Grillo per «fermare il massacro dei bambini innocenti da #CirconcisioniCandestine. La nostra campagna congiunta Amsi – Fnomceo e Ordine dei medici di Roma – dichiara – ha ottenuto adesione da tutti i sindacati, albi professionali, associazioni di categorie, comunità arabe e musulmane, centri culturali e moschee e comunità di origine straniera. Adesso tocca alle istituzioni competenti incontrarci – prosegue -: dopo questa nuova tragedia a Genova è urgente dare risposte».

4 aprile 2019