Adolescenti e smartphone, se il dialogo vince sul blocco

Riflessioni sull’uso del telefonino in un ragazzo con un rendimento scolastico problematico. La sofferta “lezione” dei genitori: «Non possiamo serrare la porta a chi vuole uscire»

Circa due mesi fa ricevo a scuola il genitore di un ragazzo con un rendimento scolastico problematico. Appena iniziato il colloquio è direttamente il padre a sottopormi un dato incontrovertibile. «Guardi prof, c’è poco da capire. Io lo so benissimo perché mio figlio va male. Ho controllato il suo telefono, esiste una funzione chiamata “tempo di utilizzo” che permette di monitorare l’uso, per quante ore al giorno e su che applicazioni. Beh, non svenga, mio figlio ha una media di sette ore al giorno e rotte sul telefono. Posto che la mattina non dovrebbe usarlo qui a scuola, ne dubito ma facciamo finta che così sia, è se non altro chiaro che il pomeriggio di mio figlio sia del tutto perso».

Prima di un mio (abbastanza inutile) «bisognerà prendere in mano questa situazione» è ancora il padre però ad anticiparmi. «Ma non si preoccupi. Ho trovato il modo. La stessa funzione “tempo di utilizzo” permette di impostare un tempo limite oltre il quale il telefono si blocca e con lui tutte le applicazioni. A mali estremi, estremi rimedi. Gli abbiamo dato fiducia ma evidentemente non è in grado di gestirsi, da stasera gli imposterò un blocco del telefono dopo un’ora d’uso. Vedrà, funzionerà». Lo saluto confermando il mio appoggio al tentativo anche se, nemmeno troppo velatamente, percepisco i segni del metodo palliativo.

Dopo due mesi, la scorsa settimana, torna di nuovo il genitore del ragazzo. La situazione scolastica in effetti è migliorata, appena lo vedo mi dico che magari il blocco ha funzionato davvero. Come la volta precedente è il padre a prendere per primo la parola. «Allora prof, all’inizio è stato terribile. A casa nostra sembrava essere scoppiata la terza guerra mondiale». «Lo credo bene», rispondo io, «il blocco lo avrà messo in crisi». Il padre mi guarda e inizia a ridacchiare. «Blocco? Dopo tre giorni in cui io e mia moglie ci beavamo del fatto che tutto stesse andando bene e che lui si fosse adeguato l’abbiamo sorpreso all’una di notte con il telefono sotto le coperte».

«Ma come è possibile?», chiedo io. Il padre continua a sorridere e ammette sconsolato: «guardi, io non lo so come ha fatto, ma poi ho capito che aveva forzato il tutto reinstallando il sistema operativo. Insomma quelle cose che loro sanno fare facilmente come respirare». «E quindi?» chiedo io, «cosa è successo poi?».

«Sa prof, dopo tre settimane di litigate furibonde, ma nelle quali tra un urlo e un altro ci siamo parlati, io e mia moglie, forse per sfinimento, ci siamo detti una cosa importante: non possiamo serrare la porta a chi per istinto vuole uscire, non nell’adolescenza. In qualche modo possiamo trattenere, limitare, ma la porta deve rimanere aperta, abbracciare, ma lasciando la porta aperta. Mettere quel blocco era inchiavardare quella porta, nostro figlio sarebbe soffocato lì dentro e noi con lui. Così, dopo un periodo sfiancante di liti ma anche di momenti in cui ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detti tutto quello che dovevamo dirci, è stato lui a proporci di non mettere il blocco, ma di aiutarlo a controllare ogni sera il tempo trascorso al telefono. Non so come andrà a finire e so che le sembrerà una favoletta ma nostro figlio ha iniziato a contenersi». «No», ho risposto a quel genitore, «non mi sembra affatto una favoletta, e lei mi ha dato una grande lezione, la ringrazio di cuore».

3 aprile 2019