Don Puglisi e la sua lotta alla mafia, “Alla luce del sole”

Nella parrocchia di Santa Lucia la proiezione del film di Roberto Faenza, vincitore del David di Donatello nel 2005, con l’attore protagonista Luca Zingaretti

Si commuove rivedendo le scene finali del film girato nel 2005. Luca Zingaretti, noto al pubblico per il ruolo storico de “Il commissario Montalbano”, venerdì 15 febbraio ha incontrato la comunità della parrocchia Santa Lucia in occasione della proiezione de “Alla luce del sole”. Nella pellicola dà corpo e voce a don Pino Puglisi, parroco di San Gaetano a Brancaccio, alla periferia di Palermo, ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno, un anno dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio nelle quali persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, la moglie di Falcone, Francesca Morvillo, e gli uomini della loro scorta.

Il film, diretto da Roberto Faenza, racconta la storia del primo martire della Chiesa cattolica tra le vittime della mafia, proclamato beato a Palermo il 25 maggio 2013. Un prete ritenuto scomodo dalla malavita perché voleva scuotere le coscienze. Nominato parroco nel quartiere controllato dai fratelli Graviano, legati al boss Leoluca Bagarella, iniziò la sua lotta antimafia. Durante le sue omelie chiedeva sempre ai capi mafia di farsi «avanti, alla luce del sole». Da qui il titolo del film vincitore nel 2005 del David di Donatello.

La proiezione rientra tra le iniziative dedicate alla vita organizzate a Santa Lucia dopo la Messa per la Giornata per la vita celebrata il 3 febbraio. Il parroco, don Alessandro Zenobbi, ricorda tra le altre la benedizione delle mamme incinta, l’incontro sulla vita nella sofferenza con la presentazione di un libro e la vita offerta per il Signore attraverso la visione del film. «Una pellicola che interroga anche me come sacerdote – ha detto -. Il sacrificio di don Puglisi è valso tanto, basti pensare alla voglia di riscatto che ha dato alle persone e alla conversione del suo assassino nata proprio in seguito al martirio del sacerdote». La serata è stata possibile anche grazie a don Sergio Mercanzin, fondatore e direttore del Centro Russia Ecumenica, amico personale di Zingaretti. «Don Pino Puglisi ha insegnato ai giovani ad opporsi al male e a credere in un futuro migliore», ha dichiarato.

Prima dell’inizio delle riprese Zingaretti ha trascorso molto tempo a Brancaccio per immedesimarsi e calarsi nei panni di don Pino. Ha incontrato chi lo ha conosciuto, ha parlato con Gregorio Porcaro, che nel 1993 era diacono a San Gaetano, con le mamme e i ragazzi che il sacerdote coinvolgeva nei gruppi parrocchiali togliendoli dalla strada e quindi dalla criminalità. Ha parlato anche con chi «era dall’altra parte della barricata e non era d’accordo con l’omicidio», ha ricordato l’attore romano, che si è reso molto disponibile alle tante domande rivoltegli dal pubblico. Ha detto che attraverso questi incontri ha conosciuto un uomo che «credeva profondamente nel suo ministero sacerdotale e nella missione intrapresa. Sapeva che doveva fare qualcosa a ogni costo per aiutare la sua gente, soprattutto i bambini che riteneva essere la salvezza dell’umanità. Questo l’ha portato ad esporsi ma non ha mai fatto un passo indietro, consapevole che un suo cedimento avrebbe significato perdere quello che stava costruendo».

Zingaretti ha dichiarato di «accompagnare sempre con piacere la proiezione di questo film» al quale è particolarmente legato. C’è una scena, ha confidato, che ancora oggi lo emoziona. Don Pino, pur essendo uomo di Chiesa, convinto di voler portare a termine una missione per salvare la gente di Brancaccio da «quella cultura di violenza e morte», ha un momento di debolezza umana e, preoccupandosi delle sue spoglie mortali, chiede al diacono: «Non lasciate il mio corpo troppo tempo da solo». Questa frase «dimostra la sofferenza, la disperazione e l’umanità di don Puglisi – ha detto l’attore -. Per me è il momento più toccante del film». Quando ripensa alla sua storia Zingaretti ha affermato di commuoversi «profondamente per la sua determinazione a rimanere a Brancaccio nonostante sapesse cosa l’attendeva. Ha avuto un coraggio che non riesco neanche a immaginare. Mi ha lasciato tante cose sulle quali riflettere nella vita quotidiana». Per l’attore l’esempio di don Pino «continua a parlare». Dopo il suo omicidio «c’è stato un lungo periodo di smarrimento – ha aggiunto -, tutto andò perso, non si parlò più di certi temi. La rinascita c’è stata qualche tempo dopo. Ora si riparte dal suo esempio, è come una sorta di stella cometa che indica la via. Lui ha vinto, ha fatto comprendere che ci sono scelte sulle quali non è possibile contrattare. Esattamente come ci insegna oggi Papa Francesco, che dà una grossa sveglia alle coscienze».

18 febbraio 2019