A che serve protestare?

Una riflessione di monsignor Elio Venier, a partire dall’Anno Santo del 1973. Il crimine di Primavalle e il «grido» del cardinale vicario Ugo Poletti

Ho qui davanti una bella inquadratura della basilica lateranense con il suo neo-cardinale Vicario, Ugo Poletti, e tanta folla compatta lungo la navata. è il ricordo d’un pomeriggio di preghiere nella lontana domenica 29 aprile 1973; di preghiere e d’impegno solenne, solidale contro la violenza. L’Anno Santo non era ancora incominciato; si era appena entrati nel clima di quella straordinaria preparazione diocesana che circa un mese e mezzo più tardi (il 10 giugno), avrebbe riaperto la basilica di Roma alle trepidazioni e alle speranze di una grande incognita, come si presentava e si presentiva, allora, il venticinquesimo Anno giubilare.

E già d’allora, il grido del Card. Poletti si faceva eco di una esasperazione universale: «È un gemito dell’umanità ferita, è un grido di orrore e di esecrazione, diceva, che questa assemblea esprime, per farsi eco di una più vasta ed energica protesta, che vorremmo si estendesse all’Italia e al mondo intero, contro ogni violenza fisica, morale e spirituale, che turba le coscienze e sconvolge la vita degli uomini». Si trattava, allora, dello spietato crimine di Primavalle: due ragazzi morti e i loro parenti orribilmente feriti ad un incendio doloso nell’abitazione.

Dopo di allora – e all’interno dell’anno che per tanti è stato santo, di una santità ricercata amorosamente nella conversione del proprio cuore, nella riconciliazione con i fratelli, nell’impatto con una Roma che non finiva più di sbalordire per la sua immensa capacità di agitare le più nascoste e le più splendide ricchezze dello spirito – da allora gli appelli del Cardinale Vicario non sono rimasti inattivi: sono ritornati a segnare le macchie più conturbanti l’opinione pubblica, la semplice, la cristiana, la fraterna opinione pubblica; macchie di sangue e di violenza sacrilega; macchie, come ieri, di assurda violenza minorile.

E l’appello del Cardinale Vicario aveva avuto il tono e il contenuto di cui sono pieni i Vangeli: «In nome di Dio e dell’umanità, sua famiglia, in preghiera e responsabilmente, intendiamo assumerci l’impegno di aiutarci a dimenticare il male ricevuto, a ripararlo con le opere di carità fraterna, a costruire la pace». «Costruire la pace nella fraternità»: non nell’egoismo, nella sete di potere, e di denaro, nel rancore, nell’odio, nell’indifferenza, nel silenzio connivente che incoraggia gli operatori del male. Tutti siamo responsabili, se abbiamo contribuito, da parte nostra e al modo nostro, allo svolgimento del piano divino verso l’umanità.

E l’appello ai giovani? «La tattica della terra bruciata a sé – diceva loro il Card. Poletti – è la più desolata e desolante. Hanno certo diritto ad essere aiutati nella scoperta dei veri valori della vita: uno spirito missionario di fraternità universale, il valore del servizio sociale, l’integrazione dei popoli, la vittoria sul sottosviluppo e sull’ignoranza».

I fatti di ogni giorno sono lì a documentare, quanto poco ascolto si è dato a queste parole. E lo spirito dei buoni si arrovella: perché gli uomini non ascoltano? Cosa si deve dire di più? A chi rivolgersi, a chi ancora parlare? C’è tutta una mess’in scena rumorosa, impietosa, che ha radici in posizioni ideologiche e in leggi pedagogiche, che tradiscono il sano umanesimo. Si attendono velleitari riscatti dall’autonomia piena della «personalità». Peggio, si equivoca su condizionamenti che verrebbero unicamente dalle «strutture» carenti o spersonalizzanti. E non si vuol dare credito alle istanze di educazione, cioè di continua, vigile, amorosa formazione morale, che sta alla base di ogni essere umano, che vuol inserirsi degnamente in una convivenza civile. Ma, con questi presupposti, a che serve scandalizzarsi? a che serve protestare?

14 dicembre 1975