Comunità di Sant’Egidio, vescovi in preghiera per la pace

Oltre 70 presuli dal mondo si sono ritrovati a Santa Maria in Trastevere a pregare per i Paesi in guerra. Monsignor Marayati: «Cristo rifiuta violenza e vendetta»

Oltre 70 presuli da tutto il mondo si sono ritrovati a Santa Maria in Trastevere a pregare per tutti i Paesi in guerra. Monsignor Marayati: «Cristo rifiuta violenza e vendetta»

Una candela per la Siria, una candela per la Libia, una candela per la Nigeria, una candela per la Corea. Decine di candele sono state accese ieri sera, giovedì 5 febbraio, nella chiesa di Santa Maria in Trastevere per pregare per la pace in ognuno di quei Paesi dove sono violenza e guerra, ovunque si agita lo spettro del terrorismo. Seduti ad ascoltare il Vangelo e a ricordare ogni persona che «piange una storia di lunghi conflitti», com’è stato detto durante la preghiera, oltre 70 vescovi provenienti da tutto il mondo, riuniti a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio. Per molti di loro il conflitto è quotidianità – più della metà provengono dall’Africa -; altri ne serbano vivo il ricordo: «Non puoi sapere il valore di una cosa se non quando la perdi. Noi ad Aleppo, in Siria, nell’Oriente, nei Paesi dell’Africa, in Asia, che abbiamo perso la pace, adesso abbiamo capito il valore della pace. È un tesoro, è un dono di Dio», ha detto durante l’omelia l’arcivescovo armeno-cattolica di Aleppo Boutros Marayati. E le parole della preghiera sono anche testimonianza: «Ho visto da noi quando ci sono esplosioni, arrivano bombe, missili. La gente non fugge nei rifugi, nessuno vive nei rifugi. Va fuori a vedere e riprende i lavori come se niente fosse. Potete dire che questo è fatalismo, ma in realtà è un atto biblico. Come è scritto nel libro di Giobbe: “Dio ha dato, Dio ha preso, che sia benedetta la volontà del Signore”», ha continuato il presule.

Rinaldo Piazzoni, responsabile dell’ufficio stampa della Comunità trasteverina, spiega: «Questo è un momento di riunione internazionale creato ogni anno da Sant’Egidio. I vescovi vengono per incontrare il Papa e per discutere tra di loro le diverse esperienze. I principi sono quelli indicati da Papa Francesco: preghiera, poveri, pace. Le tre “P” che ha usato il pontefice per descrivere la nostra opera». Al centro dell’incontro di ieri sera, a Santa Maria in Trastevere, la pace: «Pace del cuore, pace dell’amore, pace della sofferenza». Questa la «rivelazione della pace di Cristo» proposta ai fedeli da monsignor Marayati. «Che vuol dire la pace di Cristo? Ho riassunto in tre parole questa pace. La prima pace di Cristo è una pace del cuore. Avere la fede e la speranza che lui ci aiuterà. “Non siano turbati i nostri cuori”, dice. È la pace della speranza».

La seconda è «la pace dell’amore. Non è una pace imposta con le armi, con la forza, imposta con la violenza», continua l’arcivescovo, che sottolinea come dove entrano in gioco le armi non può esserci pace: «La pace del mondo è imposta con la paura». Quindi riferisce un episodio che lo ha fatto riflettere: «Qualche anno fa ho visto un grande spot qui a Roma, dove si presenta un soldato con armi sofisticate e sotto era scritto “Missione, pace”. Non capisco dove può essere la pace in una tenuta di guerra». Diverso l’insegnamento di Cristo: «Cristo rifiuta la violenza e la vendetta. Di più. Cristo ci ha chiesto di pregare per i nostri persecutori. È la pace dell’amore, della convivenza, di accettare l’altro. Di accettare e di rispettare l’altro. Rispetto e giustizia, questa è la pace che Cristo ci chiede» conclude Marayati.

La pace di Cristo, però, continua a spiegare l’arcivescovo, è anche pace della sofferenza. «La pace di Cristo è una pace sofferta, la pace della croce. Tramite la croce, dice San Paolo, Cristo ci ha riconciliato con Dio e fra noi. Un padre della chiesa armena ha detto: quando Cristo è risorto non ha cancellato i segni della croce. Tramite la sofferenza noi costruiamo la pace. Dalla sofferenza, costruiamo la pace. Come la risurrezione, anche la pace nasce dalla sofferenza». La sofferenza che ha dovuto superare anche il popolo di monsignor Marayati: «ll popolo Armeno che ha vissuto il genocidio del 1915 è un popolo risorto, ma è un popolo che ha i segni della croce». Il cristianesimo, ribadisce il vescovo di Aleppo, deve essere contrario a ogni guerra: «I nostri fratelli musulmani dicono che la pace è il nome di Dio, ma dall’altra parte in nome di Dio fanno la guerra. È un dilemma, è un paradosso: noi cristiani come possiamo rispondere? Possiamo rispondere che Cristo è la nostra pace».

6 febbraio 2015