Cara di Castelnuovo, la marcia silenziosa

Centinaia di abitanti insieme al sindaco per protestare contro la chiusura della struttura che accoglieva oltre 500 rifugiati. Con loro il vescovo Gino Reali e il parroco. «Sono nostri fratelli e sorelle»

Marciano silenziosamente fianco a fianco nel crepuscolo umido delle campagne romane. In cima al corteo il sindaco che crede nell’integrazione dei richiedenti asilo e rifugiati e protesta contro la chiusura del Cara di Castelnuovo di Porto e il vescovo di Porto-Santa Rufina. A seguire il parroco di Santa Lucia, i bambini delle scuole e i gruppi parrocchiali, suore, sindacalisti, i lavoratori del Cara gestito dalla cooperativa Auxilium a rischio licenziamento, volontari, giovani e anziani. Sono diverse centinaia di persone e camminano costeggiando l’alta rete che separa la via Tiberina dal secondo Cara più grande d’Italia, immensi casermoni grigi che hanno ospitato finora oltre 500 persone, tra cui 40 nuclei familiari, 120 donne e 14 bambini. Qui andò Papa Francesco per la lavanda dei piedi il Giovedì Santo del 2016. La mattina del 22 gennaio, per ordine del Viminale, senza preavviso, sono iniziati i trasferimenti degli ospiti verso Toscana, Umbria e Lombardia ma non si sa ancora verso quali strutture e città.

Oltre 200 persone finiranno in strada per effetto del decreto sicurezza. Oltre un centinaio di operatori del centro rischiano di perdere il posto di lavoro. Ma la società civile del territorio, guidata dal sindaco di Castelnuovo Riccardo Travaglini, ha scelto di reagire. Questa sera si è riunita per esprimere solidarietà ai migranti, la maggior parte dei quali aveva iniziato promettenti percorsi di integrazione: i giovani sono stati coinvolti in lavori socialmente utili, i bambini frequentavano le scuole del territorio, andavano all’oratorio, alcuni ragazzi collaboravano in parrocchia, due donne si stavano preparando al battesimo. Inizialmente la marcia doveva partire dal piazzale antistante l’antica parrocchia di Santa Lucia ma la prefettura all’ultimo momento non ha dato il permesso. I manifestanti si sono spostati verso il retro del Cara e hanno camminato vicino alla rete di cinta che in alcuni tratti diventa stenditoio di panni appesi, fino all’ingresso. In silenzio, con bandiere della pace e dei sindacati, e striscioni che invitavano al rispetto della dignità delle persone. Una ragazza con un cartello arancione: “L’unica legge giusta è la non violenza”. Un bambino della parrocchia di Santa Lucia: “Siamo tutti rifugiati. Gesù era un rifugiato”.

All’entrata del Cara, vigilato dalle forze di polizia e dall’esercito, tanti richiedenti asilo e rifugiati molto spaesati, ignari del proprio destino futuro. Nigeriani, pakistani, curdi, siriani, molti africani sub-sahariani. Pochi parlano italiano, qualcuno accenna poche parole in inglese. John, 20 anni, giubbotto rosso e cappellino bianco, è al Cara da sei mesi ma prima ha viaggiato attraverso la Grecia, la Macedonia, la Serbia e Trieste e ha varcato il confine italiano a piedi. È stordito: «Dopodomani mi porteranno a Napoli ma non sono contento perché qui stavo bene», dice.

Al grido di “Viva il sindaco”, “Viva il vescovo”, il sindaco di Castelnuovo di Porto Riccardo Travaglini decide di prendere la parola: «Questa marcia dimostra che esiste un’altra Italia pronta ad accogliere – dice -. Siamo stati un modello virtuoso: i ragazzi sono stati coinvolti in attività nel museo di arti e mestieri, hanno pulito il centro storico, spalato la neve. Speriamo che il governo ripensi questa scelta». Travaglini ricorda con commozione una ragazza somala che in poche ore è stata costretta ad abbandonare il centro. «Andava a scuola e faceva volontariato con noi, ha frequentato un corso di fotografia, le sue foto sono state esposte al Maxxi – racconta -. È molto brava e vuole imparare. Da questa sera non può più rientrare al centro. L’unica soluzione è portarla a casa mia, poi chiederemo alla cittadinanza se qualcuno vorrà accoglierla. Non abbiamo altre possibilità». A Castelnuovo di Porto, prosegue, «abbiamo toccato con mano gli effetti del decreto sicurezza, che prima immaginavamo soltanto. Oggi vedere questi ragazzi andare via con la valigia, senza una meta, è stata una brutta pagina per l’Italia.

Il vescovo: «Siamo stati la loro famiglia».  Il vescovo di Porto-Santa Rufina Gino Reali ricorda: «Siamo qui per dire che sono nostri fratelli e sorelle e vengono strappati a un luogo e una comunità che è stata la loro famiglia in questo periodo». Il parroco di Santa Lucia padre José Manuel Torres è preoccupato «per quelli che rimarranno sulla strada. Cercheremo di accompagnarli e trovare soluzioni per far fronte a questa emergenza». Tra i partecipanti alla marcia anche molti volontari della Comunità di Sant’Egidio e il consigliere regionale Paolo Ciani, che ribadisce: «È una scelta improvvisa e sbagliata perché interrompe un percorso d’integrazione scolastica, lavorativa e di fede già ben avviato, senza tener conto del territorio e di tanti lavoratori che così rischiano di perdere il posto di lavoro». Contro gli effetti negativi del decreto sicurezza la Regione Lazio, ricorda, «ha stanziato il 24 dicembre 600mila euro in due annualità, per provare a rispondere ai bisogni dei migranti che saranno esclusi dall’accoglienza. Questa è la prima occasione». (Patrizia Caiffa)

23 gennaio 2019