Educare i giovani alla democrazia per una convivenza responsabile
In tempi di crisi della partecipazione, è necessario rivitalizzare le forme di aggregazione e imparare a riconoscere le differenze come valore
«L’anno vecchio è finito ormai / Ma qualcosa ancora qui non va…». Ne sono passati di anni da quando quel folletto di Lucio Dalla ha inventato l’inno alla speranza forse più comunicativo per le generazioni contemporanee e viene la facile tentazione di osservare che niente è cambiato, che anzi siamo andati indietro, che tutto è in arretramento: i rapporti tra la gente, la gestione della cosa pubblica, il mercato del lavoro e l’occupazione, il bilancio ambientale, il senso civico, la partecipazione e l’impegno politico, le prospettive per i giovani, per i quali assistiamo a una sempre più diffusa tendenza a emigrare per cercare un lavoro dignitoso che dia un senso alla propria preparazione e al proprio entusiasmo per il raggiungimento degli obiettivi.
In realtà, i problemi non mancavano nemmeno allora. Uno dei periodi più bui, quello degli “anni di piombo”, è stato funestato da una lunga scia di sangue che ha inesorabilmente condizionato i rapporti nella convivenza sociale, mettendo a rischio la tenuta dello Stato. Eppure è netta la percezione che ci sia allo stato attuale un punto cruciale di caduta del valore che rappresenta il presupposto fondamentale e substrato imprescindibile della nostra Costituzione: il sentimento della democrazia.
Ci si potrebbe chiedere che cosa c’entri la democrazia con l’educazione giovanile. È facile rispondere che si tratta di un elemento che fiorisce in modo direttamente proporzionale al benessere sociale, considerato che nei Paesi con un più avanzato modello di partecipazione democratica si osservano comportamenti interpersonali e rispetto delle regole civili più avanzati e un’organizzazione sociale realmente rispettosa delle necessità di ciascuno.
Mi ha stupito, giorni fa, osservare che in un noto liceo la partecipazione alle elezioni dei rappresentanti degli studenti per il Consiglio d’istituto fosse addirittura superiore al 90%. E e mi sono stupito ancor più quando è stato svelato l’arcano, quando cioè ho scoperto che in pratica il voto viene espresso in orario di didattica! Miseria, ma certo, è l’uovo di Colombo! Basta creare le precondizioni per canalizzare la partecipazione. E poi, perché non andare a votare? Diventa un modo come un altro per uscire dall’aula e interrompere la lezione. I numeri della reale partecipazione ci sono: sono quelli della componente genitori, la cui percentuale di votanti supera appena il 4%, che equivale a dire “nessuna rappresentatività”.
Stiamo dentro un’epoca in cui il disimpegno affligge qualsiasi tipo di organizzazione e associazione, laddove tutto ormai sembra contrassegnato dall’azione individuale, anche la disponibilità verso gli altri. Esattamente l’opposto di quello che dovrebbe avvenire in democrazia: il potere alla collettività, che sceglie le forme e gli obiettivi da affidare a qualcuno deputato a governare per il bene comune. Ormai il cittadino è diventato un cliente dentro all’organizzazione statale, sin dalla nascita con il proprio codice fiscale, un cliente che vaglia le proposte del mercato e compra i servizi piuttosto che goderne come diritto. Questa operazione ha trovato terreno fertile nella crisi degli enti educativi, genitori in difficoltà, operatori scolastici delegittimati rispetto al loro ruolo tradizionale, aggregazioni partitiche in cui non si riesce più a rispecchiarsi, associazioni formative per le quali non c’è più abbastanza tempo da parte degli adulti.
La democrazia è un sentimento che si apprende, come si impara a camminare, a stare con gli altri, come si intraprende un percorso formativo o si dedica tempo ad un interesse particolare. Nasce dal confronto, quindi dall’incontro e dal contraddittorio, per acquisire forme e strumenti adeguati per il raggiungimento di una vera espressione delle proprie idee e di uno spazio in cui arricchirle e farle crescere.
A leggere i dati della realtà, si direbbe che oggi c’è altro da fare, come fosse roba d’altri tempi, e non si può stare ancora a credere nelle chiacchiere dei politici e dei partiti. Se si capovolge il punto di vista, si riesce ad intravedere una coincidenza formidabile tra il calo massiccio della partecipazione della collettività al dibattito politico e l’accentramento dei momenti decisionali nella più ristretta cerchia dell’oligarchia delle finanze. E la crisi internazionale di questi anni recenti in questo senso assume un ruolo strumentale piuttosto che essere conseguenza di un vero dissesto globale.
L’educazione alla democrazia diventa ancora più pressante nel continuo modificarsi della composizione sociale, con nuovi gruppi etnici che si stabiliscono nelle nostre città nel corso dei flussi migratori cui assistiamo. La qualità della vita delle società del futuro dipenderà primariamente dalla capacità di rivitalizzare le forme di aggregazione e di contaminazione culturale. Una convivenza responsabile, che riconosca le differenze come valore piuttosto che come motivo di emarginazione e si fondi sul confronto delle caratteristiche territoriali o di gruppi riconoscibili, siano essi etnici o religiosi o culturali, diventa un vero e proprio obiettivo formativo generazionale, fondato sul primato della democrazia. (a cura di Roberto Rossi)
11 gennaio 2019