Il debito, ago della bilancia tra nord e sud del mondo

Dedicato al fenomeno migratorio l’incontro promosso da Centro missionario e Ufficio migrantes. Padre Albanese: «Un’emergenza gestita male fa una catastrofe». Monsignor Perego: «Siamo per accoglienza diffusa»

Il sud del mondo grida, il nord non ascolta. Il sud ha sguardi disperati, il nord è miope. È un problema di sensi offuscati da forti interessi economici che hanno reso il “mare nostrum” monstrum: un cimitero liquido. Questi i temi emersi all’incontro che si è tenuto in Vicariato sabato 24 novembre, organizzato dal Centro per la cooperazione missionaria tra le Chiese e dall’Ufficio migrantes della diocesi di Roma. Un’attenta analisi del fenomeno migratorio partita dalla riflessione sul tema “Liberi di partire, liberi di restare. Gli spostamenti migratori su una terra che è di tutti”.

«I dati parlano chiaro: l’Africa è un continente con un miliardo e 300 persone. Nel 2050 la popolazione dovrebbe essere di poco inferiore ai tre miliardi e 800», spiega padre Giulio Albanese, missionario comboniano e giornalista, direttore della rivista Popoli e Missione. Dall’altra parte c’è un’Europa con il bastone. «La situazione del sud del mondo ci riguarda. Guardiamo a cosa succede in Uganda, Somalia, Sud Sudan, Nigeria. Non sono Paesi poveri ma impoveriti, che implorano giustizia. In Africa c’è una quantità incredibile di minerali come oro, diamanti, uranio, fonti energetiche, il tantalio». Cosa strozza l’Africa? «Il debito. La finanza speculativa sta facendo affari finanziando il debito dei Paesi africani, che cresce così tanto da non poter essere restituito», spiega padre Albanese. Questa questione, continua, «è ancora più urgente quando consideriamo che dal 2007 il debito pubblico mondiale è più che raddoppiato, passando da 28,7 a oltre 61 trilioni di dollari odierni. Ciò rappresenta una nuova minaccia di crisi sistemica. Questo meccanismo è pericoloso anche per l’Italia e una politica di austerity non è sufficiente per farlo diminuire». La soluzione? «Affrontare il debito con i principi giuridici contenuti nella storica “Carta di Sant’Agata dei Goti” del 1997».

Anche monsignor Giancarlo Perego, arcivescovo di Ferrara Comacchio e già direttore della Fondazione Migrantes della Cei, parla del debito. «Nel 2000 il condono del debito estero ha aperto un percorso positivo. Da Paesi come Zambia, Ghana e Mozambico non abbiamo avuto flussi significativi di persone. Oggi siamo interconnessi, per cui ci deve essere uno scambio di risorse per costruire un’economia alternativa». Un duro inverno sta colpendo l’Italia e monsignor Perego porta l’esempio della sua città: Ferrara. «In 20 anni ha perso ventimila persone: uno nasce, due muoiono. Qual è il futuro di questa città? In una città che muore il migrante non ci va». Anche l’accoglienza per Monsignor Perego va rivista. «Noi siamo per un’accoglienza diffusa, da preferirsi ai centri dove le persone vengono ammassate. Bisogna portare le persone in città non nei centri, perché solo così possono dare il meglio».

Ecco la sfida: cosa sappiamo realmente dell’Africa? «Poco o nulla. I pregiudizi sono legati a questa ignoranza grassa. La sfida tra sud e nord prima che sociale, politica, economica è culturale», dice padre Albanese che spiega come l’economia africana sia stata danneggiata dagli Epa (European partnership agreements), accordi di partenariato economico, approvati il 1° ottobre 2014 dall’Unione europea. «Mentre prima le merci europee erano sottoposte a dazi che servivano a dare respiro alle economie africane e a favorire i prodotti africani, ora le merci locali costano più di quelli europee penalizzando l’economia locale. Queste fa sì che le persone impoverite cerchino rifugio in Europa», analizza padre Albanese. «Oggi la società è contaminata dal pensiero debole», prosegue padre Giulio incalzato dalle domande del giornalista Davide Dionisi, del dicastero per la Comunicazione del Vaticano.

«Gli stupidi fanno sistema senza saperlo. Ricordiamo i Goti che chiedevano di entrare nell’impero romano perché c’erano gli Unni che spingevano. L’imperatore Valente li accolse e diede loro una quota di aiuti in denaro per garantire la loro sostenibilità. Ma i generali si presero i soldi e li misero in grandi campi profughi. Dopo 3 anni di vita come bestie si ribellarono, si organizzarono e affrontarono le legioni di Roma. Così iniziarono le invasioni barbariche. Attenzione perché un’emergenza gestita male fa una catastrofe». A chiudere l’incontro monsignor Paolo Lojudice, vescovo ausiliare di Roma: «Centrali sono le parrocchie come luoghi di presidio del territorio. Le loro porte devono essere aperte per gestire le situazioni di disagio».

26 novembre 2018