Fiducia sul decreto Salvini, Centro Astalli: «Strumenti inadeguati»

Il Servizio dei Gesuiti per i rifugiati esprime la sua preoccupazione per il via libera del Senato al provvedimento su “Sicurezza e immigrazione”: dimostra «incapacità politica di uscire da logiche emergenziali». Timore anche dal Cir

«Affrontare attraverso la decretazione di urgenza e il voto di fiducia la gestione di un fenomeno complesso e strutturale come le migrazioni rivela l’incapacità di uscire da una logica emergenziale, peraltro con una pericolosa sovrapposizione tra i temi della sicurezza e questioni del tutto diverse quali la cittadinanza, l’integrazione, l’accesso al mercato del lavoro». Il Centro Astalli, Servizio dei gesuiti per i rifugiati, commenta con queste parole l’approvazione al Senato del decreto Sicurezza e immigrazione firmato dal ministro Matteo Salvini. Ed esprime «profonda preoccupazione» per «un insieme di misure che va a modificare sostanzialmente l’impianto normativo attuale su temi rilevanti come la protezione internazionale e l’accoglienza», che «si avvia a compimento senza che finora ci sia stata la possibilità di una compiuta partecipazione del Parlamento».

Dai Gesuiti del Centro Astalli un monito anche sulla «comunicazione politica», che dovrebbe «abbandonare l’approccio superficiale, conflittuale e denigratorio per riappropriarsi del suo ruolo di strumento di informazione della cittadinanza e accompagnamento di processi sociali, attraverso una piena emersione della complessità dei temi legati alle migrazioni, non tralasciando mai la dimensione internazionale in cui gravi crisi umanitarie, conflitti ed emergenze ambientali sono causa e origine del numero più alto mai registrato di migranti forzati dal dopoguerra a oggi».

A farsi voce della posizione del Centro Astalli è il presidente padre Camillo Ripamonti. «Continuiamo a chiedere a chi ricopre ruoli di governo o ha responsabilità istituzionali – afferma – di avere come interesse primario la coesione sociale del Paese, il futuro delle nuove generazioni e un’idea di Italia in cui la pace, la libertà e l’uguaglianza siano valori non negoziabili su cui porre le basi per la costruzione di un Paese inclusivo e plurale dove ci sia spazio di cittadinanza anche per chi arriva a vivere in Italia da migrante».

Anche il Consiglio italiano per i rifugiati (cir) esprime la sua «grave preoccupazione» per l’approvazione in Senato di un decreto che «non raggiungerà in nessun modo l’obiettivo che il legislatore si è posto: cioè più sicurezza nel nostro Paese». Per il direttore Mario Morcone infatti «l’abolizione della protezione umanitaria creerà migliaia di irregolari che non potranno essere rimpatriati, se non in modo molto limitato. Lo smantellamento dello Sprar determinerà nuove forme di marginalità, derive di esclusione sociale che inevitabilmente renderanno più fragili le persone che arriveranno in Italia enfatizzando il rischio di conflitti e rendendoli permeabili a percorsi di radicalizzazione». Il risultato: un peggioramento sia per quanto riguarda i diritti di richiedenti asilo e rifugiati che per l’efficacia del sistema steso.

«Un altro rischio che ci allarma molto – prosegue Morcone – è l’introduzione del trattenimento ai soli fini identificativi e delle procedure di frontiera che determinerà sulle coste della Sicilia e delle altre Regioni del Sud la realizzazione, per necessità, di grandi centri chiusi che deterranno migliaia di richiedenti asilo. È sostanzialmente quello che alcuni Paesi europei ci chiedono da tempo e noi non abbiamo mai voluto fare». Ancora, riguardo alle misure sulla cittadinanza, fanno notare dal Cir, «i quattro anni richiesti dall’amministrazione per dare una risposta alla richiesta di cittadinanza presentata da una persona che nei precedenti 10 anni aveva già dimostrato di essere nelle condizioni richieste dalla legge non sembrano compatibili col livello di sviluppo del nostro Paese. Le disfunzioni della pubblica amministrazione non possono essere scaricate su persone che peraltro lavorano e pagano le tasse come tutti gli altri cittadini». Da ultimo, «comprendo e condivido anche le ragioni che spingono verso la revoca della cittadinanza in alcuni casi specifici, che a mio avviso rimarrà una norma bandiera – conclude Morcone – ma con essa rischiamo di disarticolare un pilastro del nostro ordinamento che è l’articolo 3, creando le categorie degli italiani e degli italiani fino a un certo punto».

8 novembre 2018