Chiara e Nicola, il sorriso di chi sa di essere amato da Dio

A Santa Croce in Gerusalemme l’incontro per ricordare il venerabile D’Onofrio e la serva di Dio Corbella Petrillo. Il vescovo Ricciardi: dare testimonianza concreta nel quotidiano perché «ognuno di noi è chiamato alla santità»

Cosa hanno in comune due ragazzi nati e cresciuti in epoche diverse, che hanno intrapreso strade differenti, seguito vocazioni opposte e morti a circa 50 anni di distanza? Il sorriso. Il volto solare di chi nella vita ha incontrato il Signore. Il venerabile Nicola D’Onofrio e la serva di Dio Chiara Corbella Petrillo hanno conservato il volto raggiante fino all’ultimo istante della loro vita. Sabato 27 ottobre, nelle stesse ore in cui in Vaticano si chiudeva il sinodo dei vescovi, in una gremita basilica di Santa Croce in Gerusalemme si è svolta la veglia “Così sorridono i giovani di Dio” presieduta dal vescovo Paolo Ricciardi, delegato diocesano per la pastorale sanitaria.

La serata, incentrata su due versetti del Vangelo di Giovanni, «Maestro dove abiti?» e «Venite e vedrete», alternata da momenti di preghiera, canti e dall’adorazione Eucaristica, è stata dedicata a due giovani semplici e gioiosi che hanno saputo offrire le proprie sofferenze e la malattia per il prossimo senza mai vacillare nella fede. Nicola D’Onofrio nacque nel 1943 in provincia di Chieti. Superata l’iniziale opposizione da parte dei familiari, a dodici anni entrò nel seminario camilliano di Roma. Nel 1961 emise la prima professione religiosa e alla fine del 1962 avvertì i primi sintomi della malattia che l’avrebbe portato alla morte a soli 21 anni.

«Io mi perdo in quel sorriso» ha detto la nipote Virginia durante la veglia guardando la gigantografia del giovane posta alla destra dell’altare. Sul lato opposto la fotografia di Chiara Corbella Petrillo. Dinanzi ai due grandi ritratti sono state poste due candele portate in processione. Per Virginia la prova più dura per lo zio non è stata la malattia ma non riuscire a diventare sacerdote. «Lo desiderava con tutto se stesso ma non ne ha avuto il tempo – ha affermato – credo che questo sia stato il dispiacere più grande per lui ma ha comunque accettato la volontà di Dio». La donna è nata nove anni dopo la morte di Nicola ma in famiglia se ne avverte sempre la presenza. Pur non avendolo conosciuto lo sente molto vicino e invita a leggere i suoi scritti per conoscerlo meglio perché «può rappresentare un modello non solo per le vocazioni ma anche per la vita.

Nicola e Chiara sono la dimostrazione che si può essere santi anche nella semplicità». Il marito di Chiara, Enrico Petrillo, prima della sua testimonianza ha intonato il canto “Quanto amore” scritto per la primogenita Maria Grazia Letizia morta pochi minuti dopo la nascita a causa di una anencefalia. Chiara è morta a 28 anni per un carcinoma. Dopo aver portato avanti due gravidanze culminate con la morte dei bambini, mentre aspettava il terzo figlio le fu diagnosticata la malattia e decise di rimandare le cure per non danneggiare il bambino che portava in grembo. Solo dopo la nascita di Francesco si sottopose ad un importante intervento chirurgico e ai cicli di chemio e radioterapia ma purtroppo «il drago», come lo aveva ribattezzato, si era diffuso. Il 21 settembre scorso nella basilica di San Giovanni in Laterano il cardinale vicario Angelo De Donatis ha aperto la fase diocesana della causa di beatificazione e canonizzazione di Chiara.

«Io non so come si fa a morire felici ma so che è possibile perché l’ho visto» ha detto Enrico il quale ammette che è molto doloroso e faticoso raccontare la loro storia ma allo stesso tempo è molto bello. La perdita di due figli, la malattia di Chiara, non hanno mai scoraggiato i due sposi rimasti saldi nella fede in Dio. «Non è giusto che sono vedovo – ha proseguito – non è giusto che Francesco sia orfano, non è giusto che a 20 anni abbia visto morire due figli ma guardando il crocifisso, guardando Gesù morto e risorto per noi, mi dico che se facesse giustizia io sarei comunque sempre in debito».

Il vescovo Ricciardi ha rimarcato che Nicola e Chiara con la loro testimonianza di vita hanno pronunciato il loro «Eccomi» al Signore. Due ragazzi accomunati «dallo stesso sorriso di chi sa di essere amato da Dio». Ha ricordato che Nicola voleva servire i malati ma è diventato «strumento» per tanti coetanei che guardando il suo volto raggiante e meditando i suoi scritti decidono «di dedicare la propria vita al sacerdozio». Il sorriso di Chiara invece «aiuta e conforta tante mogli e madri». La veglia si è conclusa all’esterno della chiesa dove sono state bruciate le intenzioni di preghiera precedentemente deposte dai fedeli ai piedi dell’altare. Il vescovo ha invitato tutti a dare testimonianza concreta nel quotidiano perché «ognuno di noi è chiamato alla santità» ha affermato ricordando anche la piccola Antonietta Meo, conosciuta come Nennolina, morta a sette anni e sepolta nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme.

 

29 ottobre 2018