75 anni dopo, il ricordo della deportazione degli ebrei di Roma

La marcia silenziosa da piazza San Pietro al Casd, l’ex collegio militare in piazza della Rovere, da cui il 16 ottobre 1943 furono deportate 1.023 persone. Piero Terracina, fra i 16 sopravvissuti: «Tutto nella più totale indifferenza»

Una marcia silenziosa per ricordare il 75° anniversario della deportazione degli ebrei romani. Un centinaio di persone ieri sera, lunedì 15 ottobre, partite da piazza San Pietro hanno raggiunto il Casd (Centro alti studi per la difesa), l’ex “collegio militare” in piazza della Rovere, nel quale sabato 16 ottobre 1943 furono radunate 1.259 persone, di cui 689 donne, 363 uomini e 207 bambini, quasi tutti appartenenti alla comunità ebraica. In 236 furono rilasciati perché stranieri o appartenenti a famiglie di sangue misto. Gli altri 1.023 furono deportati direttamente nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Sopravvissero in sedici, 15 uomini e una donna, Settimia Spizzichino, la quale, è stato ricordato, ha trascorso la vita ad «urlare al mondo le nefandezze subite nel campo di concentramento».

Nel cortile d’onore del Casd sono stati scanditi in ordine alfabetico i nomi dei deportati ed è stata scoperta una lapide commemorativa. La rievocazione del “sabato nero” è stata organizzata dall’associazione “Ricordiamo insieme”, nata da un’idea dei coniugi cattolici tedeschi Federica e Tobias Wallbrecher e dalle sorelle Rivka, da Grazia e Sara Spizzichino, pronipoti di Settimia. L’evento si è aperto davanti all’obelisco di piazza San Pietro con la recita di una preghiera scritta il 9 novembre 1988 dal vescovo di Aquisgrana Klaus Hemmerle, in memoria della cosiddetta “Notte dei cristalli”, quando in Germania furono bruciate e saccheggiate migliaia di sinagoghe, istituzioni e negozi di ebrei.

Leo Limentani, figlio di Settimio, tornato da Aushwitz con Sami Modiano, ha riferito alcune delle atrocità subite dal padre che sul braccio sinistro aveva tatuato il numero di matricola A-15769. Ad aprire la marcia alcuni giovani studenti che reggevano una candela arrivata proprio dal campo di concentramento di Aushwitz. Non dimenticare e trasmettere ai giovani la memoria storica della Shoah è «importante» per Piero Terracina, 90 anni, sopravvissuto al campo di sterminio dove fu deportato il 7 aprile 1944. Riuscì a sfuggire al rastrellamento del 16 ottobre 1943 ma fu arrestato su segnalazione di un delatore insieme ai genitori, alla sorella Anna, ai fratelli Cesare e Leo, allo zio Amedeo e al nonno Leone David. È stato l’unico a tornare in Italia. A distanza di 75 anni resta senza risposta una domanda che «tormenta» Piero: «Come è possibile che sia accaduto tutto questo nella più totale indifferenza? Indifferenza che ho riscontrato anche quando sono tornato dall’inferno. Avrei voluto giustizia, non vendetta, altrimenti sarei sceso allo stesso livello dei miei persecutori».

Si interrompe più volte per la commozione il racconto di Nando Tagliacozzo. Da Auschwitz-Birkenau non sono più tornate la sorellina di 8 anni, la nonna e lo zio. «Nessuna voce si levò in loro difesa» ha detto. Anche Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma, si è soffermata «sull’indifferenza, la complicità e la corresponsabilità di molti». Tornare in piazza della Rovere per lei significa fare un salto indietro nel tempo agli anni che hanno segnato anche la sua vita. «La razzia di quei giorni ferì e tradì tutta la città, non solo gli ebrei», ha concluso. Le mura dell’ex collegio militare in quei giorni hanno udito «pianti, preghiere e suppliche, quando dall’esterno trapelava il silenzio dell’indifferenza», ha ribadito Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, per la quale è fondamentale «impegnarsi per far conoscere ai giovani la verità».

Il rabbino capo della comunità ebraica di Roma Riccardo Di Segni ha ricordato che la tragedia accomuna un’infinità di storie e vicende. «Oggi – ha detto – dobbiamo ricordare questi fatti per impedire che si ripiombi nella barbarie di 75 anni fa e che il mondo crolli come avvenuto all’epoca». Santo Marcianò, ordinario militare per l’Italia, nel suo intervento ha ricordato la preghiera scritta da Papa Francesco sul libro d’Onore del campo di Auschwitz in occasione della visita nel 2016: «Signore abbi pietà del tuo popolo, Signore perdona per tanta crudeltà». In piazza della Rovere è stata «violata la causa dell’uomo – ha detto Marcianò -, l’uomo è stato discriminato e ridotto a un numero o a cavia da esperimento. Ricordando tanto orrore si può cambiare la storia».

La targa commemorativa posta nel cortile del Casd, per il generale Massimiliano Del Casale, presidente del Centro, vuole essere una «testimonianza tangibile di pace e di rispettoso ricordo», rappresenta la vicinanza delle forze armate italiane alle vittime «di un evento che ha costituito la violazione dei diritti umani». Tra gli altri erano presenti alla cerimonia padre Etienne Veto, direttore del Centro cardinal Bea per gli studi giudaici della Pontificia università Gregoriana, il pastore della Comunità evangelica luterana di Roma Michael Jonas e l’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede Oren David.

16 ottobre 2018