Circoli minori, i padri sinodali si scoprono distanti dai giovani

Il cliché del “bamboccione” è diffuso anche nella Chiesa che accusa la «fatica di ascoltare, accogliere, accompagnare i giovani e farsi comprendere da loro»

Dalla lettura delle relazioni dei Circoli minori del Sinodo al termine della prima settimana di lavori dell’assemblea sui giovani emergono diversi spunti interessanti. Prendendo in considerazione, per brevità, i tre gruppi di lingua italiana, il primo aspetto è che finalmente i pastori si stanno rendendo conto di quanto siano distanti dalla realtà dei giovani. Nel testo del Circolo B ci sono almeno due passaggi significativi. Uno riguarda la «necessità di valorizzare la responsabilità̀ dei giovani e il loro impegno nel bene, che non di rado risulta sorprendente».

Perché tanta sorpresa? Sono moltissimi i giovani in grado di assumersi responsabilità e impegni. Ma evidentemente il cliché del “bamboccione” è diffuso anche nella Chiesa. Il secondo è l’ammissione della «fatica di ascoltare, accogliere, accompagnare i giovani e farsi comprendere da loro da parte delle comunità e degli stessi pastori, col risultato che essi sentono distante e non attraente la vita di fede e la sua condivisione nella Chiesa». E qui è illuminante uno dei punti indicati dal Circolo A, che «sottolinea la necessità di considerare i giovani parte della Chiesa». Essi «sono già il presente della Chiesa, non solo il futuro (…). L’uso della congiunzione “e” (in espressioni come “i giovani e la Chiesa”) rischia di avvallare una comprensione distorta che separa i giovani dalla comunità, portando conseguenze negative a diversi livelli. Anzitutto nell’atteggiamento di fondo nei loro confronti: si oscura la ricchezza di idee e di proposte che possono venire da loro, esautorandoli da responsabilità e attività che potrebbero invece avviare cambiamenti e novità, e da cui tutta la comunità può apprendere. Un altro rischio sul piano pastorale è quello di progettare iniziative per i giovani, anziché con i giovani».

Un altro aspetto, evidenziato in vari modi da tutti e tre i gruppi di lavoro, riguarda la necessità dell’ascolto dei giovani e di non generalizzare, prendendo nella giusta considerazione i diversi contesti geografici e socio-economici e partendo non da analisi sociologiche ma dalla concretezza della realtà. Il tema della sessualità per ora è stato solo accennato ma con un atteggiamento per certi versi nuovo. Nella relazione del Circolo A vi si fa riferimento in relazione agli scandali che fanno sentire «l’urgenza per tutta la Chiesa di mettersi in atteggiamento di conversione per accompagnare i giovani nella loro crescita». Interessante l’osservazione del Circolo B che rileva come nel campo della vita affettiva «i giovani hanno bisogno di chi parli loro con limpidezza, profonda umanità ed empatia aiutandoli a riconoscere i segni dell’amore di Dio».

Uno dei punti centrali è stato quello della trasmissione della fede. Mentre il Circolo C ha sottolineato l’importanza del rinnovamento della catechesi e della liturgia, gli altri due si sono soffermati sulla responsabilità della formazione. Estremamente incisiva la fotografia scattata dal Circolo A, che non risparmia critiche all’Instrumentum laboris in cui «non è presentata in maniera adeguata la crisi della trasmissione della fede, ben presente in Occidente, ma che interessa la Chiesa intera (…) In questo una grande responsabilità l’hanno gli adulti. Essi, sia in famiglia sia fuori, non sono stati testimoni credibili della bellezza del messaggio evangelico. Per di più il clima di esasperato individualismo, che si è diffuso anche nella comunità cristiana, ha favorito l’affermarsi di una concezione della salvezza come generico benessere psicologico autocentrato (…) Deve pertanto emergere con maggiore forza la responsabilità da parte dei credenti di accompagnare i giovani all’incontro personale con Gesù». Il Circolo B dal canto suo ha sottolineato il ruolo delle «istituzioni scolastiche e universitarie cattoliche» che «non vanno usate in chiave strumentale o utilitaristica, ma valorizzate come opportunità in cui offrire nella giusta libertà cammini di maturazione umana e spirituale autentici».

Infine, il linguaggio. Se il Circolo A ha evidenziato che il documento finale dovrà essere «diverso dall’Instrumentum laboris», gli altri due hanno suggerito l’elaborazione di un breve messaggio ai giovani, anche «sotto forma di lettera o di Nuntius (come in altri Sinodi precedenti) con un linguaggio narrativo, parabolico, adatto a loro» (Circolo C). Ecco, si potrebbe cominciare evitando di usare un linguaggio aulico ma poco comprensibile. Frasi del tipo «la dinamica dell’incarnazione di fronte ai nuovi contesti e linguaggi non aperti alla dimensione veritativa, di cui la pastorale viene a conoscenza; il coraggio di ripensare i percorsi di iniziazione non solo in termini conoscitivi ma anche e soprattutto mistagogici» possono andar bene (forse) per gli “addetti ai lavori” ma restano lontanissime dalla maggior parte dei giovani d’oggi.

 

 

10 ottobre 2018