Docenti: serve un patto tra scuola e famiglie

All’inizio del nuovo anno, gli insegnanti fanno il punto sulla situazione del sistema scolastico in Italia. Tra criticità e auspici. Donato, 65 anni, professore di lettere: « «È il processo educativo a dover essere rifondato»

I docenti tornano in classe e all’inizio di un nuovo anno scolastico fanno il punto sulla situazione della scuola, evidenziandone le criticità. Preferiscono che venga riportato solo il loro nome di battesimo non tanto, o non solo, per la preoccupazione di essere identificati,  e quindi additati e criticati, ma perché ritengono di essere portavoce di un sentire comune. Tra tante opinioni, provenienze ed esperienze differenti, in effetti, emerge da subito un filo rosso: ciò che manca primariamente è l’alleanza educativa tra scuola e famiglia, la stessa che Papa Francesco ha auspicato in occasione dell’incontro con l’Associazione italiana genitori lo scorso 7 settembre. «Vi invito a coltivare sempre la fiducia nei confronti degli insegnanti – aveva detto Francesco ai genitori riuniti in Aula Paolo VI -: senza di loro rischiate di rimanere soli nella vostra azione educativa e di essere sempre meno in grado di fronteggiare le nuove sfide educative che vengono dalla cultura contemporanea».

«Scuola e famiglia – chiosa Daniela, 37 anni, di cui 15 spesi nella scuola dell’infanzia in un quartiere periferico di Roma est – idealmente dovrebbero sottoscrivere un patto educativo in quanto principali attori del processo formativo dei piccoli, invece dai genitori ci sono solo pretese ma la scuola non è un’azienda che eroga un servizio, c’è ben altro». Anche Tommaso, che ha un’esperienza quasi trentennale in classe come docente di religione cattolica in un liceo di Roma sud, rileva che «si confonde spesso l’educazione con l’organizzazione: i genitori consegnano i ragazzi alla scuola aspettandosi che venga loro organizzata la vita, anche pomeridiana, mentre i giovani, oggi, hanno bisogno di qualcuno che susciti in loro il desiderio di cose belle e grandi». Gli fa eco Donato, che ha 65 anni e da 40 insegna lettere nei licei del centro: «È il processo educativo a dover essere rifondato, manca un progetto di uomo in questa crisi generale e la scuola deve poter offrire quei punti di riferimento solidi e fondamentali che permettano una rifondazione dei cuori per il rinnovamento della società».

Anche Mauro insegna da tanti anni, ma negli istituti tecnici, quest’anno all’Eur: «Quello che noto è che le famiglie cercano di agevolare in maniera eccessiva il percorso scolastico dei figli – evidenzia -: dall’uso sbagliato del registro elettronico, che diventa uno strumento di controllo del docente invece che dei ragazzi, all’esagerazione nel fornire certificazioni mediche». Dello stesso parere Roberto, 60 anni e da 33 docente di Storia dell’arte in un liceo di Roma sud: «Nella condizione attuale, presidi e insegnanti si preoccupano principalmente di come difendersi dagli eventuali ricorsi che molti genitori sono pronti a fare ogniqualvolta non si riesca a comprendere le capacità dei propri figli». Quest’aspetto è di molto aumentato con la comparsa delle certificazioni di Bes (Bisogni educativi speciali) e Dsa (Disturbi specifici di apprendimento) «senz’altro importanti e utili – continua il docente – ma spesso usati come deterrente verso gli insegnanti: davanti ad alcune difficoltà, spesso frutto del disimpegno, si vanifica ogni possibilità di giudizio obiettivo perché la bocciatura non è più vista come uno strumento per favorire l’orientamento dello studente ma come qualcosa di umiliante, da evitare a tutti i costi». Così il docente «perde di autorevolezza e credibilità – sottolinea Mireia, che ha 55 anni e da 16 insegna lingua spagnola in una scuola media di Roma Nord -, ci si sente vulnerabili e sotto accusa: il genitore si lamenta del tuo operato facilmente e si reca dal preside direttamente, senza cercare il confronto».

Del lassismo di alcuni dirigenti scolastici «che mirano alla quantità degli alunni piuttosto che alla qualità, perdendo di vista il loro ruolo di guida e mostrandosi troppo accondiscendenti con i genitori» si lamenta anche Adriana, che da 12 anni insegna lettere in un liceo del centro. Umberto, 30 anni e da due docente di ruolo di matematica in un liceo di Roma Nord, guarda invece al processo selettivo degli insegnanti definendolo «poco chiaro, con criteri sempre nuovi e modificati dai diversi governi: nel reclutamento si procede in automatico per anzianità senza attuare una effettiva selezione e non tenendo conto dello scollamento tra vecchie generazioni, sulla cattedra, e nuove generazioni, sui banchi».

17 settembre 2018