Il Faro e Centro Astalli insieme per l’integrazione dei rifugiati

Consegnati i diplomi a quanti hanno frequentato la scuola di italiano. Padre Ripamonti: l’obiettivo è favorire «percorsi di inclusione». Del Bufalo: la chiave è «credere nelle persone»

«È possibile vivere insieme anche nella più grande diversità, senza per questo rinunciare alla propria identità». Questo il messaggio che ieri, 29 maggio, è risuonato a gran voce nella sede della Fondazione Il Faro, luogo simbolo dell’inclusione dei migranti a Roma, nell’ambito della consegna dei diplomi ai rifugiati che hanno frequentato la scuola d’italiano del Centro Astalli. L’evento è stato l’occasione per presentare il progetto “Costruire integrazione”, attivato nel 2017 e portato avanti dall’azione sinergica del Centro Astalli con Il Faro, con l’obiettivo di favorire percorsi di inclusione dei rifugiati.

«L’integrazione – sottolinea padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli – non deve essere un elemento successivo e secondario rispetto all’accoglienza ma con essa deve iniziare e procedere di pari passo». L’obiettivo dunque non è solo l’immediata assistenza ma il raggiungimento dell’autonomia della persona, attraverso un accompagnamento attento alle potenzialità del singolo. In quest’ottica, i servizi che il progetto ha reso possibili sono molteplici: nell’ambito dell’azione mensa sono stati offerti pasti caldi a 3mila persone in condizioni di precarietà, 80 rifugiati sono stati accolti in alloggi messi a disposizione dalle congregazioni religiose, 250 persone hanno beneficiato di orientamento e accompagnamento socio-legale.

L’apprendimento della lingua e la formazione al lavoro, «passi fondamentali nel processo d’inclusione», sono stati supportati grazie all’inserimento di 200 migranti nella scuola di italiano e all’attivazione di corsi di formazione e tirocini professionalizzanti. Lo evidenzia Gianni Del Bufalo, direttore generale della fondazione Il Faro. «Credere nelle persone e fare sì che esse credano in se stesse è la chiave del nostro impegno», afferma. E, come in un viaggio, in cui vite diverse si affiancano per percorrere un medesimo tratto di strada, ognuno si ritrova arricchito e aiutato dall’altro: «La scuola di italiano non mi ha insegnato solo la lingua – testimonia Menatullah, studentessa egiziana – ma anche la collaborazione e l’accettazione del diverso in un contesto multietnico».

Il progetto “Costruire integrazione”, finanziato da UBI Banca, è un esempio di collaborazione tra un soggetto del profit ed enti no profit, che intende creare sinergie tra settori diversi della società civile, riducendo il più possibile le disuguaglianze: «Il futuro non si costruisce né facendo leva sulla carenza di risorse né mettendo le persone le une contro le altre – sostiene Ripamonti – ma lavorando insieme, pur con livelli di responsabilità e stili diversi, con l’obiettivo comune di aiutare chi ha bisogno». A questo proposito il vescovo Paolo Lojudice, ausiliare per il settore Sud, sottolinea la responsabilità della comunità cristiana, chiamata «a calarsi nelle situazioni, e, mettendosi nei panni dell’altro, ad andargli incontro. È necessaria una formazione che privilegi un’idea concreta di accoglienza, certi che anche un piccolo gesto può diventare agli occhi del mondo un segnale del bene che continua instancabilmente a vincere il male». (Roberta Caruso)

30 maggio 2018