Migranti, la lettera della Cei alle comunità cristiane

“Comunità accoglienti, uscire dalla paura”: questo il titolo del documento, che arriva a 25 anni dal precedente, “Ero forestiero e mi avete ospitato”. Il primo diritto: «Non essere costretti a lasciare la propria terra»

Era il 1993 quando dalla Conferenza dei vescovi italiani arrivava il documento “Ero forestiero e mi avete ospitato”, dedicato al fenomeno «”nuovo” ed emergente» dell’immigrazione. A distanza di 25 anni, la Commissione episcopale per le migrazioni della Cei indirizza alle comunità cristiane una nuova lettera, intitolata “Comunità accoglienti, uscire dalla paura“. «Ciò che ci spinge a prendere nuovamente la parola è il profondo cambiamento che in questi anni continua a segnare il fenomeno migratorio nel nostro Paese», si legge nella premessa. Se è vero infatti che 25 anni fa, secondo i dati del ministero dell’Interno, gli immigrati regolari in Italia erano infatti 987.405, in maggioranza europei dell’Unione europea e dell’Europa orientale, oggi, scrivono i vescovi, «l’immigrazione è diventata nel nostro Paese un fenomeno sorprendente nel suo incremento, anche se negli ultimi anni esso si è fermato ed è aumentato invece il numero degli emigranti italiani. Gli immigrati in Italia hanno infatti raggiunto e superato all’inizio del 2016 il numero di 5 milioni con un’incidenza sulla popolazione totale pari all’8,3%». I vescovi evidenziano però che «mentre nell’ultimo triennio il numero degli immigrati è rimasto pressoché stabile ed è cresciuto il numero dei richiedenti asilo, il numero degli emigranti italiani è continuato a crescere: nell’ultimo anno oltre 124mila italiani hanno spostato la loro residenza oltreconfine».

L’esortazione rivolta alle comunità cristiane allora è ad affrontare «con realismo e intelligenza, con creatività e audacia, e al tempo stesso, con prudenza, evitando soluzioni semplicistiche», il fenomeno globale delle migrazioni, «con le sue opportunità e i suoi problemi», senza limitarsi a risposte prefabbricate. «Riconosciamo che esistono dei limiti nell’accoglienza – si legge nel documento -. Al di là di quelli dettati dall’egoismo, dall’individualismo di chi si rinchiude nel proprio benessere, da una economia e da una politica che non riconosce la persona nella sua integralità, esistono limiti imposti da una reale possibilità di offrire condizioni abitative, di lavoro e di vita dignitose». Ancora, «siamo consapevoli – scrivono i presuli – che il periodo di crisi che sta ancora attraversando il nostro Paese rende più difficile l’accoglienza perché l’altro è visto come un concorrente e non come un’opportunità per un rinnovamento sociale e spirituale e una risorsa per la stessa crescita del Paese». A tutti però va riconosciuto quello che nelle lettera viene definito «il primo diritto», vale a dire il «non dover essere costretti a lasciare la propria terra».

Oltre l’emergenza, la realtà del fenomeno migratorio, «la sua complessità, le domande che suscita, chiedono alle nostre comunità di avviare “processi educativi” che vadano al di là dell’emergenza, verso l’edificazione di comunità accoglienti capaci di essere “segno” e “lievito” di una società plurale costruita sulla fraternità e sul rispetto dei diritti inalienabili di ogni persona». Per leggere le migrazioni come “segno dei tempi”, proseguono ancora i vescovi, è necessario anzitutto «uno sguardo profondo, uno sguardo capace di andare oltre letture superficiali o di comodo, uno sguardo che vada “più lontano” e cerchi di individuare il perché del fenomeno». Di qui l’invito a utilizzare «un linguaggio che non giudica e discrimina prima ancora di incontrare. “Le paure si possono vincere solo nell’incontro con l’altro e nell’intrecciare una relazione. È un cammino esigente e a volte faticoso a cui le nostre comunità non possono sottrarsi, ne va della nostra testimonianza evangelica», come «sanno bene quelle comunità e parrocchie che in questi anni hanno deciso in vario modo di accogliere. Per questo è nostra intenzione promuovere nei primi mesi del prossimo anno un meeting di queste realtà di accoglienza».

Da ultimo, una denuncia: «L’immigrazione, con le reazioni di rigetto che talvolta suscita, mette in luce un atteggiamento presente nelle società occidentali e che non le è direttamente connesso: il crescente individualismo, che sempre più spesso si manifesta anche fra connazionali e addirittura all’interno delle famiglie». La strada da percorrere, secondo i vescovi, è quella dell’integrazione, definita come «un processo che non assimila, non omologa, ma riconosce e valorizza le differenze; che ha come obiettivo la formazione di società plurali in cui vi è riconoscimento dei diritti, in cui è permessa la partecipazione attiva di tutti alla vita economica, produttiva, sociale, culturale e politica, avviando processi di cittadinanza e non soltanto di mera ospitalità».

15 maggio 2018