Siria, a Mar Musa riprende la vita monastica

Nella comunità cattolica siriaca rifondata dal gesuita romano Paolo Dall’Oglio, rapito nel 2013, i monaci hanno ripreso le attività tradizionali. Fratel Jihad : «La nostra zona è tranquilla ma il futuro è tutto da costruire»

È indissolubilmente legata al nome di padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita romano rapito nel 2013 e di cui da allora non si hanno notizie, la comunità monastica di Mar Musa, di rito siriaco, a circa 80 chilometri da Damasco, nei pressi della cittadina di al-Nabk. Punto di osservazione privilegiato della realtà drammatica di una Siria in guerra ormai da 8 anni, di cui è al contempo fonte che alimenta la speranza. «A Mar Musa la situazione è tranquilla e anche nella Valle dei cristiani, dove sono nato e cresciuto, non ci sono tensioni – riferisce dal monastero fratel Jihad Youssef -. Certo, la situazione complessiva del Paese è ancora precaria».

Il monaco, raggiunto subito dopo la Pasqua dall’Agenzia Fides, rende noto che «si combatte ancora in alcune zone. In quelle aree gli scontri sono feroci. Le vittime sono molte, la maggior parte civili innocenti. La situazione è drammatica. Ma anche nelle zone pacificate o che non sono mai state interessate dagli scontri – prosegue – la situazione sociale non è florida. Il lavoro non c’è, i prezzi sono altissimi. Le famiglie fanno fatica a tirare avanti». Molte, rileva fratel Jihad, le famiglie in difficoltà: «Di fronte a una situazione di incertezza, molti progettano di emigrare all’estero: Europa, Nord America, Australia. È comprensibile – commenta -, anche se penso che molti siano ingannati da false rappresentazioni dell’Occidente. Emigrare non è facile e, anche se si riesce a espatriare, la vita all’estero non è semplice».

In questi di conflitto il monastero di Mar Musa non è stato toccato dai combattimenti: i monaci non se ne sono mai andati ma le attività sono progressivamente diminuite, fino a cessare. Ora da quasi due anni la vita torna lentamente nell’antica struttura, dove risiedono tre monaci della comunità e due religiosi ospiti. Anche i flussi dei visitatori «non sono tornati ai livelli precedenti alla guerra – continua il religioso – ma soprattutto il venerdì, giorno di festa per i musulmani, molte persone, in maggioranza di fede islamica, vengono a visitare il monastero. Grandi e piccoli gruppi vengono a pregare, a meditare, a prendersi una pausa in un luogo che ispira riflessione e contemplazione».

Riprese anche le attività tradizionali dei monaci e delle monache: oltre alla preghiera, l’agricoltura, l’allevamento e tutto quanto concerne la manutenzione della struttura. «I monaci – conclude fratel Jihad – hanno ottime relazioni sia con la comunità cristiana della vicina Nebek sia con la gente comune. Lavorano insieme ad alcuni progetti». Tra questi, la collaborazione con l’ospedale locale «per contribuire a fornirlo di macchinari medico-sanitari più moderni» e il sostegno ai poveri, «in particolare ai cristiani di Nebek e agli sfollati di Qaryatayn. La nostra zona ora è tranquilla – conclude il monaco -. Ma il futuro è tutto da costruire. Sappiamo com’era la Siria prima della guerra. Non sappiamo ancora come sarà dopo».

13 aprile 2018