Dalle borgate romane al mondo contro la «lebbra» dell’esclusione

Il cardinale Parolin ha celebrato a San Giovanni in Laterano la Messa per i 50 anni della Comunità di Sant'Egidio. Il presidente Gentiloni: «Le vostre battaglie hanno reso Roma più civile. Lavoriamo insieme sui Corridoi umanitari»

I posti a sedere nelle cinque navate di San Giovanni in Laterano non sono bastati a contenere la folla di persone che hanno raggiunto la cattedrale di Roma per celebrare i 50 anni della Comunità di Sant’Egidio. Almeno in mille sono rimasti in piedi durante la Messa presieduta, sabato 10 febbraio, dal Segretario di Stato vaticano Pietro Parolin e concelebrata dal vicario di Roma Angelo De Donatis. C’erano i poveri, gli anziani, gli stranieri dei Corridoi umanitari, una grande famiglia riunita dalla «luce della compassione» in grado di attivare – ha sottolineato il cardinale Parolin – braccia «talvolta pigre e inermi» per raggiungere e stringere «chi è separato». Cinquant’anni percorsi sulla «via della compassione insegnata e praticata da Gesù» e «sempre più strada da percorrere dalla Comunità».

La Chiesa della diocesi di Roma
– ha detto Parolin – «vi ha visto compiere i primi passi dopo la fine del Concilio Vaticano II. Oggi prega e gioisce con voi, perché – come disse San Giovanni Paolo II nel 1986 – “Dove ci sono altre comunità di Sant’Egidio – anche non di Roma – sono sempre di Roma”». Il cardinale ha ricordato ai presenti – in prima fila, oltre al fondatore Andrea Riccardi e al presidente Marco Impagliazzo, c’erano il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, i ministri Marianna Madia e Valeria Fedeli, il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani – gli inizi della Comunità. «Avete affrontato con passione le borgate romane, oltrepassando tante barriere. Bambini, donne, uomini, poveri, anziani dalla vita dura, percepivano se stessi come il lebbroso di Cafarnao. Dai primi incontri con quel mondo periferico è cominciata una storia della loro liberazione dalla “lebbra” dell’esclusione».

Da Cafarnao a un’altra Cafarnao, «nelle varie periferie del mondo: così si ricompone la famiglia umana oltre le sue lacerazioni. Quando avete guardato al sogno di un mondo in pace – ha ricordato il cardinale – non avete accettato gli abissi ereditati dal passato». Il mondo globale «ha bisogno di una realtà come la vostra, radicata nel locale, ma anche capace di abitare la dimensione globale con spirito di fraternità». Al termine della celebrazione liturgica, le parole del presidente Marco Impagliazzo che, guardando la tante persone presenti, ha voluto sottolineare: «non siamo una massa, siamo un popolo. Il filo che unisce questo popolo di volontari, amici, sostenitori è quello dell’amicizia».

In questi 50 anni «abbiamo maturato una convinzione: nessuno è escluso. Il Vangelo è per tutti, la Comunità è per tutti. Nessuno è straniero per il Signore. Nessuno è straniero per la Comunità». Ma «la missione non è finita», nel mondo ci sono «tante domande e bisogni, primi tra i quali quello della pace e del vivere insieme in pace». «Noi vogliamo umilmente esserci». La Comunità «la troverete sempre dalla parte degli ultimi e dei poveri». Come quelli delle periferie romane, ha ricordato il vicario De Donatis. «Andando lì, partendo da Trastevere, l’incontro è stato l’inizio di un amore grande». In quei tempi «la città cominciava a vedere, a capire e ad amare anche le sue sofferenze. Veniva invitata a non essere indifferente. Era un incontro di amicizia per offrire un segno di profezia». La Parola «accolta dai giovani di allora – ha concluso il vicario – ha generato una comunità che nasce nel quartiere cristiano più antico, ma non ha confini allargando il suo servizio nel mondo. Una storia che si intreccia con quella della nostra diocesi».

Il presidente del Consiglio dei ministri
Paolo Gentiloni ha poi ringraziato la Comunità «per la coerenza che, per 50 anni, avete vissuto nella fede e dalla parte dei più deboli. Quando vedete una piaga non trattenete il dito, quando c’è da lanciare un allarme lo fate, anche quando può apparire scomodo». È il caso ricordato da Gentiloni delle «vostre battaglie per i rom e per i loro bambini. Quanto importanti sono state e quanto scomode per chi aveva responsabilità di governo». Sono tutte battaglie di cui andare orgogliosi «perché hanno contribuito a rendere Roma più civile». Sant’Egidio però, oltre a lanciare allarmi, per il presidente Gentiloni, è anche in grado di indicare soluzioni, risposte. L’esempio che fa è quello dei Corridoi umanitari, «uno spiraglio in cui i flussi migratori possono diventare più sicuri, umani e organizzati. È la cosa giusta da fare e la cosa su cui dobbiamo lavorare insieme».

Infine, l’omaggio del presidente del Parlamento europeo
, Antonio Tajani. «La Comunità aiuta con la sua azione ad affrontare e a risolvere la questione dell’immigrazione, intervenendo per permettere all’Africa di vivere in pace, di risolvere i problemi di chi, in quel Continente, soffre la povertà, il cambiamento climatico, le guerre e la violenza. Nel 2050 la popolazione africana arriverà a 2 miliardi e mezzo. Dobbiamo risolvere lì i loro problemi, cercando di accogliere da noi coloro che scappano dalle guerre». Il grazie finale arriva per il contributo di Sant’Egidio al Parlamento europeo per rafforzare il dialogo interreligioso. La capacità di dialogare «non è segno di debolezza, ma la dimostrazione che si è forti della propria identità e della propria fede».

 

 

13 febbraio 2018