Aumentano gli anziani ma diminuiscono le risorse loro destinate

La qualità della vita di un anziano è maggiore se questo è parte attiva della famiglia e della società. In un incontro a La Civiltà Cattolica, il professor Trabucchi: «Durante la pensione meglio trovare un impegno»

L’Italia è, con il Giappone, il paese al mondo con la più alta aspettativa di vita: quasi 83 anni, con le donne generalmente più longeve degli uomini. Questa statistica, indubbiamente confortante, è comunque da interpretare in base alle necessità di cui ha bisogno una società anziana, o, per dirla con altre parole, dove lo stato deve provvedere a politiche di assistenza e pensionistiche adeguate. Un altro dato a esempio: oggi nel nostro territorio il numero di chi ha più di 65 anni è superiore al totale di abitanti compresi tra 0 e 20 anni. Insomma siamo una nazione di nonni.

Questa e altre considerazioni sono state al centro di un dibattito nella sede di Civiltà Cattolica, sabato 20 gennaio a Roma, intitolato significativamente “Gli anziani: politiche sociali, qualità della vita, e opportunità”. Il nome stesso indicava le tre questioni attorno a cui si sono sviluppati gli interventi di due ospiti di prestigio, i professori Marco Trabucchi, tra l’altro presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, e Roberto Bernabei. Quest’ultimo, geriatria e ordinario all’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha introdotto la gravità della situazione soprattutto se vista in ottica futura: «Se da un lato alla vecchiaia si accompagnano saggezza ed equilibrio, è altrettanto vero che a questa età corrispondono molti meno muscoli». Ovvero bisogno di assistenza, ma non solo. «La composizione della famiglia media si sta delineando, da Grosseto in su, in questa maniera: un figlio, due genitori, quattro nonni, e due bisnonne. Dal punto di vista antropologico e sociale è un dato eccezionale e probabilmente nuovo nella storia dell’umanità». Come affrontarlo?

Una strada da seguire è suggerita dallo stesso Bernabei attraverso due evidenze emerse dagli studi di settore: il radicamento nella famiglia e l’inclusività sociale. La qualità della vita di un anziano è maggiore se questo è parte attiva della famiglia e della società; è infatti dimostrata una correlazione tra il coinvolgimento nelle relazioni e un’alta speranza di vita. Nesso confermato anche dal professore Trabucchi, che ha indicato alcune regole fondamentali, precedute da una considerazione di base: «Abbiamo ottenuto tanti anni di vita in più, ma anche tanti anni di difficoltà. Come risolvere questa situazione? Il primo punto è consigliare la fiducia del futuro». Una fiducia legata all’identità, perché se è vero che la salute è ovviamente al centro di ogni discorso, è altrettanto importante avere chiaro il disegno della propria vita: «Anche durante la pensione serve un impegno lavorativo, un’attività di volontariato, perché l’inattività fa ammalare ed è necessaria una certa generosità, il servizio agli altri. Non isolarsi e non lasciare che gli anziani si isolino. Oggi di solitudine si muore».

Giorni fa avevamo letto, da Londra, dell’istituzione di un Ministero della Solitudine da parte del governo May, proprio per fronteggiare un’emergenza che riguarda, in Gran Bretagna, 2 milioni di cittadini sopra i 75 anni. I dati italiani non sono così allarmanti ma impongono attenzione. «Insomma, la Provvidenza ci ha fatto vivere più a lungo ma non ci ha garantito di vivere bene – ha concluso il professor Trabucchi – adesso sta a noi trovare la chiave». E le risorse economiche. Perché quelle date alla sanità sono inferiori rispetto alla media europea e destinate a diminuire con l’aumentare delle promesse elettorali sull’abbassamento delle tasse. (Alessio Nannini)

 

22 gennaio 2018