«I poveri sono il nostro passaporto per il paradiso»

Francesco celebra la prima Giornata mondiale dei poveri: «Amare il povero significa lottare contro tutte le povertà, spirituali e materiali». Poi pranza con loro

Hanno spezzato insieme il pane della Parola, il Pane eucaristico e quello del pranzo domenicale. Francesco ha aperto le porte di San Pietro e dell’Aula Paolo VI ai poveri, domenica 19 novembre; quelli cui, chiudendo il Giubileo della Misericordia, ha dedicato una Giornata mondiale. In basilica, più di 4mila, provenienti da tutto il mondo e accompagnati dai volontari di varie associazioni di assistenza, hanno seguito la Messa del Papa. Tra loro, 1500 sono stati poi accolti nella grande sala progettata da Pier Luigi Nervi per il pranzo offerto da Francesco. Gli altri sono stati ospitati in tutta Roma, da istituti ed enti caritativi (Pontificio Collegio Americano del Nord, Collegio Apostolico Leoniano, mense del Circolo San Pietro, mensa Caritas Roma, Comunità di Sant’Egidio, Pontificio Seminario Romano Minore, Pontificio Ateneo Regina Apostolorum) che hanno preparato per loro il pranzo del giorno di festa.

«Dio non è un controllore in cerca di biglietti non timbrati – ha detto il Papa nell’omelia -. Per questo non fare nulla di male non basta. C’è una parola forse andata un po’ in disuso eppure molto attuale, “omissione”. È triste quando il Padre dell’amore non riceve una risposta generosa di amore dai figli, che si limitano a rispettare le regole, ad adempiere i comandamenti, come salariati nella casa del Padre». E ha aggiunto: «Non è fedele a Dio chi si preoccupa solo di conservare, di mantenere i tesori del passato. Invece, come dice la parabola evangelica del servo che non fa fruttare il suo talento, colui che aggiunge talenti nuovi è veramente “fedele”, perché ha la stessa mentalità di Dio e non sta immobile: rischia per amore, mette in gioco la vita per gli altri, non accetta di lasciare tutto com’è. Solo una cosa tralascia: il proprio utile. Questa è l’unica omissione giusta».

«Amare il povero significa lottare contro tutte le povertà, spirituali e materiali», ha detto il Papa. «Ci farà bene accostare chi è più povero di noi: toccherà la nostra vita. Ci ricorderà quel che veramente conta: amare Dio e il prossimo. Solo questo dura per sempre, tutto il resto passa; perciò quel che investiamo in amore rimane, il resto svanisce. Come dice Gesù nel Vangelo, tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Questi fratelli più piccoli, da Lui prediletti, sono l’affamato e l’ammalato, il forestiero e il carcerato, il povero e l’abbandonato, il sofferente senza aiuto e il bisognoso scartato. Sui loro volti possiamo immaginare impresso il suo volto; sulle loro labbra, anche se chiuse dal dolore, le sue parole: “Questo è il mio corpo”. Nel povero Gesù bussa al nostro cuore e, assetato, ci domanda amore».

Ancora una volta, Francesco chiama in causa la cultura dello scarto: «Nessuno – ha detto – può ritenersi inutile, nessuno può dirsi così povero da non poter donare qualcosa agli altri. Siamo eletti e benedetti da Dio, che desidera colmarci dei suoi doni, più di quanto un papà e una mamma desiderino dare ai loro figli. E Dio, ai cui occhi nessun figlio può essere scartato, affida a ciascuno una missione». Nei poveri, «si manifesta la presenza di Gesù, che da ricco si è fatto povero». Per questo «in loro, nella loro debolezza, c’è una forza salvifica e se agli occhi del mondo hanno poco valore, sono loro che ci aprono la via al cielo, sono il nostro passaporto per il paradiso». Inoltre, «oggi possiamo chiederci: che cosa conta per me nella vita, dove investo? Nella ricchezza che passa, di cui il mondo non è mai sazio, o nella ricchezza di Dio, che dà la vita eterna? Questa scelta è davanti a noi: vivere per avere in terra oppure dare per guadagnare il cielo. Perché per il cielo non vale ciò che si ha, ma ciò che si dà».

Gesù ci mostra la generosità e la premura del Padre in tanti modi: «con la sua parola, con i suoi gesti, con la sua accoglienza verso tutti, specialmente verso i peccatori, i piccoli e i poveri», ha detto poi il Papa all’Angelus. «I suoi ammonimenti rivelano il suo interesse perché noi non sprechiamo inutilmente la nostra vita». E – ha ribadito – «la parabola dei talenti ci richiama a una responsabilità personale e a una fedeltà che diventa anche capacità di rimetterci continuamente in cammino su strade nuove, senza sotterrare il talento, cioè i doni che Dio ci ha affidato, e di cui ci chiederà conto».

Al termine della preghiera mariana,
l’arcivescovo Rino Fisichella del Pontificio consiglio per la Nuova Evangelizzazione – che si è occupato dell’organizzazione della Giornata in Vaticano – ha accolto il Papa in Aula Nervi. Per la prima volta, l’enorme struttura delle udienze si è trasformata in un’elegante sala da pranzo, con 150 tavoli da 10 posti. Il Papa ha preso posto al tavolo centrale. Non solo Roma la provenienza degli “invitati”, ma anche diverse diocesi del mondo: Parigi, Lione, Angers, Beauvais, Varsavia, Cracovia, Solsona, Malines-Bruxelles e Lussemburgo. I poveri sono stati serviti da 40 diacono della diocesi di Roma e da circa 150 volontari di altre diocesi.

Il menù è stato preparato dal
ristoratore veneto Sergio Dussin, al servizio dei papi sin dall’ultima parte del pontificato di Giovanni Paolo II: gnocchetti sardi padellati con pomodoro, olive e formaggio Collina Veneta, bocconcini di vitello con verdure, polenta e broccoli di Bassano, tiramisù alla veneta, acqua, aranciata e caffè. Il Papa ha voluto anche la musica: con la Banda della Gendarmeria Vaticana e il coro “Le Dolci Note”, composto da bambini dai 5 ai 14 anni.

 

20 novembre 2017