Al via oggi, martedì 19 settembre, al Centro Astalli, fino a venerdì 22, la seconda edizione del corso gratuito sulla medicina delle migrazioni, per medici e operatori sanitari. L’obiettivo: avere personale preparato sia al momento dell’accoglienza dei migranti, sia nei territori. “Sanità di frontiera” è il nome del progetto, promosso dall’Osservatorio internazionale per la salute (Ois) e presentato ieri, 18 settembre, a Roma, nei locali del Senato. Oltre 600 le richieste pervenute, pertanto, hanno spiegato gli organizzatori, saranno strutturati anche corsi web a distanza per raggiungere 5mila operatori ogni anno.

«Per noi la salute non ha frontiere se non quelle culturali e dovute ai traumi psicologici che vivono i migranti», ha commentato il presidente Ois Francesco Aureli. A presiedere il comitato scientifico, Giuseppe Petrella, che si è soffermato invece sull’intenzione di «colmare un vuoto attraverso la formazione a distanza, che rappresenta il futuro». Per padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, «curare e prendersi cura dei migranti forzati rappresenta un passo fondamentale per l’integrazione delle persone. Se non si cura il migrante forzato e non si tiene conto del suo percorso migratorio, che è un percorso di tortura, il processo di integrazione viene meno». Di qui l’auspicio, da parte del gesuita, che attraverso questo corso «sia superato il clima ostile nei confronti dei migranti e i medici possano fare da ponte per ricreare un clima di pace sociale».

Della sua esperienza diretta con i migranti ha parlato il medico di Lampedusa Pietro Bartolo. La sua premessa non lascia spazio a dubbi: «I migranti non portano malattie gravi che possono far preoccupare gli europei, perché sono malattie legate alle patologie del viaggio e al disagio psicologico». Una delle ultime orribili “patologie” che è stato costretto a verificare, oltre alle bruciature causate dalla miscela di acqua e benzina su «gommoni che sono in realtà canotti», è «il tentativo di scuoiarli – ha raccontato -, perché nell’inferno della Libia non sono trattati da esseri umani, soprattutto le donne, che arrivano quasi tutte violentate e incinte». Per tutti loro, ha concluso il medico, «Lampedusa continuerà ad essere un’isola accogliente e lo rimarrà sempre, nonostante le polemiche».

19 settembre 2017