Sud Sudan, la situazione è drammatica

Il presidente dei vescovi: «La gente muore di fame. Necessario riaprire i colloqui di pace tra tutti gli attori di questa guerra»

«La situazione in Sud Sudan non è facile. La guerra che dal 2013 continua ininterrottamente ancora oggi non accenna a finire. Avevamo fatto dei colloqui di pace ma nessuno rispetta gli accordi presi. Né il governo, né i ribelli. Oggi si combatte per le strade, nei villaggi e nelle città». A tracciare un quadro di quella che è oggi la situazione in Sud Sudan è monsignor Barani Eduardo Hiiboro Kussala, presidente della Conferenza episcopale del Sud Sudan. Nei giorni scorsi è stato a Bolzano per incontrare il direttore dell’Ufficio missionario diocesano Wolfgang Penn. E in quell’occasione ha raccontato la situazione nel martoriato Paese africano.
«Le persone soffrono tanto, sono quelle che soffrono di più in questa guerra – dichiara -. Molti sono stati costretti a fuggire. Hanno trovato rifugio nei campi profughi allestiti nei Paesi confinanti, vale a dire in Uganda, Kenya, Sudan, Congo e Repubblica Centrafricana. Ci sono anche sfollati nello stesso Sud Sudan, ossia persone che hanno dovuto lasciare le proprie case e i propri villaggi per mettersi in salvo dai combattimenti e che hanno cercato rifugio in altre zone del Paese».

«È pericoloso scendere in strada e l’economia è in ginocchio». Nella diocesi di Yambio, di cui monsignor Hiiboro Kussala è vescovo, sono cinque le parrocchie che sono state chiuse a causa dei combattimenti. La gente scappata dai villaggi ha trovato rifugio accanto alle chiese. Ma è una situazione di continuo pericolo. «Andare per le strade è molto pericoloso – aggiunge il presule -, dovunque ci sono ribelli e c’è il rischio di finire in mezzo ad una sparatoria. Accanto a questo c’è una situazione economica drammatica. I soldi a disposizione sono pochi e non ci sono alimenti. Quelli in vendita nei mercati hanno prezzi altissimi e la gente non ha i soldi per comprarli. Agricoltura e allevamento sono allo stremo proprio a causa della guerra. In alcune zone del Paese il cibo viene portato in aereo e fatto arrivare alla popolazione. Ma non è una soluzione che può durare a lungo. Temo che se la situazione continuerà così, molti saranno quelli che presto moriranno di fame, soprattutto i bambini».

«Mancano medicinali per curare anche le infezioni più semplici». C’è poi il problema dei medicinali. «Non ci sono medicine e la guerra accentua ancora di più questo problema – spiega ancora il vescovo -. Tanti bambini muoiono nei primi anni di vita perché non ci sono le medicine per curare le più semplici infezioni. Realtà come le scuole, gli ospedali e l’approvvigionamento idrico non funzionano perché sempre più spesso il governo non paga il personale». La Chiesa, per quello che le è possibile, cerca di portare avanti questi servizi, che sono fondamentali per la popolazione locale.

L’impegno della Chiesa nel settore della formazione. «Nelle diocesi sono presenti dagli asili alle università – spiega il presidente della Conferenza episcopale del Sud Sudan -. A Juba abbiamo la Catholic University, che possiamo tenere aperta anche grazie ai fondi dell’8xmille che vengono destinati dalla Conferenza episcopale italiana. Crediamo sia fondamentale portare avanti la formazione delle nuove generazioni nel Paese, perché è necessario formare i nuovi leader del futuro. Abbiamo programmi umanitari per assistere la popolazione e questo anche grazie a Caritas internationalis. Anche Papa Francesco ha mandato dei fondi, che sono stati messi a disposizione dei missionari affinché provvedano ad acquistare cibo e medicine per la popolazione».

L’impegno della Chiesa nell’assistenza sanitaria. Grande è l’impegno che viene portato avanti anche sul fronte sanitario. «Gli ospedali sono dei punti di riferimento importanti – prosegue Hiiboro Kussala -. Ma la nostra attenzione non è solo a curare le ferite del corpo ma anche quelle dello spirito. Grande impegno viene messo nel recupero dei bambini soldato: cerchiamo di aiutarli nel superare i traumi che hanno vissuto e li inseriamo nelle scuole tecniche per dare loro una formazione e per permettere loro di imparare un lavoro».

«È necessario riaprire i colloqui di pace». Monsignor Kussala sottolinea che la situazione politica attuale è il frutto della mancanza di fiducia tra il governo e le forze ribelli. «Hanno troppi interessi in campo – commenta -, pensano di poter vincere usando le armi ma io sono convinto del contrario. Importante è ritornare a sedersi attorno a un tavolo e riaprire i colloqui di pace. Bisogna chiamare tutti gli attori di questa guerra, che è una guerra che coinvolge etnie e tribù, e sedersi intorno a un tavolo per discutere di pace. Per fare questo serve un mediatore esterno. I Paesi confinanti in questo senso non fanno molto. Arriveranno a breve anche le forze speciali dell’Onu per proteggere la popolazione ma anche questo non credo sia una soluzione. Prima occorre trovare una via per la convivenza pacifica e poi si può pensare a un controllo del territorio che garantisca la durata di questa pace».

«Con i musulmani lavoriamo per la pace e il dialogo». «La Chiesa – prosegue – cerca di portare il suo contributo al dialogo di pace e tutti hanno fiducia nella Chiesa. Anche con i musulmani lavoriamo per la pace, il dialogo, cerchiamo di riunire i gruppi e di promuovere la riconciliazione tra le comunità. Lo facciamo anche attraverso la nostra radio, grazie alla quale il messaggio di pace viaggia per tutto il Sud Sudan ed è condiviso sia dai cattolici che dai musulmani. La radio è uno strumento prezioso per parlare di pace e per portare speranza alla popolazione».

Accanto alle migliaia di sfollati nei campi profughi. In questo momento, in cui centinaia di migliaia di abitanti del Sud Sudan sono sfollati nei Paesi limitrofi, impegno della Chiesa è anche quello di portare loro aiuto nei campi profughi. In questo senso molto è stato fatto, nelle ultime settimane proprio dalla diocesi di Bolzano-Bressanone. «L’Ufficio missionario diocesano – spiega mons. Hiiboro Kussala – ci ha aiutato tanto in passato e continua a farlo anche in questo momento di difficoltà. Sono grato per il vostro aiuto e il vostro sostegno».

«Per il mio Paese sogno un futuro di pace». Anche in una situazione tanto drammatica, c’è sempre spazio per la speranza. «Per il mio Paese – afferma ancora il presule – sogno un futuro di pace, in cui le difficoltà e i problemi che arrivano dal passato saranno superati. Sogno un grande Paese in cui i giovani crescano con la voglia di costruire il presente come in una grande famiglia, senza lotte o divisioni di classe o di etnie». (Irene Argentiero)

7 settembre 2017