Siria, crescono tra i bambini i disturbi post traumatici da stress

Il progetto di Ospedale Bambino Gesù e Fondazione Giovanni Paolo II a sostegno di piccoli e operatori, per ridurre le conseguenze psicologiche della guerra

Presentato il progetto di Ospedale Bambino Gesù e Fondazione Giovanni Paolo II, a sostegno di piccoli e operatori, per ridurre le conseguenze psicologiche della guerra

Le immagini del piccolo Omran soccorso in ambulanza ad Aleppo quasi un anno fa commossero il mondo. Ma nei bambini che vivono la guerra esistono anche altre ferite oltre a quelle fisiche: invisibili, silenziose e che compaiono più tardi, come la sindrome da stress post traumatico. Se ne è parlato questa mattina, mercoledì 26 aprile, all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù durante il convegno “Siria: i bambini e la guerra. Le ferite nascoste”. Nell’occasione è stato presentato il progetto “Disturbi post traumatici da stress per un’intera generazione di bambini”, nato dalla collaborazione tra l’Ospedale e la Fondazione Giovanni Paolo II, presente in Libano dal 2006, impegnata dal 2012 a fornire aiuto ai profughi siriani, in particolare ai bambini, con un programma educativo.

«La sindrome post traumatica da stress è l’insieme delle reazioni psicologiche che avvengono in relazione a un trauma veramente intenso legato ad eventi naturali come terremoto, inondazioni, o dovuti all’opera dell’uomo, come la guerra» spiega Federico Vigevano, direttore del dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione del Bambino Gesù, che da anni si occupa di maltrattamento e abuso sui minori con equipe specializzate. Il progetto presentato oggi prevede tre anni di formazione di medici, infermieri, psicologi, operatori sanitari, educatori e insegnanti, con un programma teorico e pratico da seguire sul campo ad Aleppo, Damasco, Homs e presso il Bambino Gesù. «Esistono studi che dimostrano l’efficacia di alcune terapie di tipo psicologico e psichiatrico – sottolinea Vigevano – ma è fondamentale che siano fatte da personale altamente preparato. Inoltre non bisogna dimenticare che questa sindrome colpisce anche i soccorritori, dei  quali dobbiamo preservare la salute». L’obiettivo, spiegano dall’ospedale, è «aumentare le protezioni individuali e ambientali dei bambini siriani e ridurre gli effetti a breve e lungo termine dello stress su un piano emozionale, cognitivo, psicopatologico e comportamentale».

I numeri spaventano: «Questa sindrome che nella popolazione generale ha una prevalenza dell’8%, nei rifugiati di guerra sale all’80%. E dei circa 20 milioni di rifugiati al mondo, metà sono sotto i 18 anni  – sottolinea ancora il direttore di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’ospedale pediatrico -. Se questi numeri fanno escludere il ricorso a terapie individuali, è tuttavia dimostrato che anche con terapie in piccoli gruppi si possono raggiungere buoni risultati». Secondo i dati diffusi da Save the Children, due bambini su tre dicono di aver perso qualcuno che amavano o di aver visto le bombe cadere sulla propria casa; il 50% degli adulti testimonia di adolescenti che ricorrono alla droga per affrontare lo stress; il 59% conosce bambini e ragazzi reclutati nei gruppi armati anche sotto i 7 anni. Tantissimi bambini, inoltre, la notte non riescono a dormire per paura del buio, dei bombardamenti, della perdita della famiglia. Molti anche i piccoli che non riescono più a parlare e che commettono atti di autolesionismo, che sfociano spesso in tentativi di suicidio.

«Il buio e il freddo sono elementi significativi per i bambini e in Siria devono conviverci perché la luce è pochissima e il gasolio che alimenta i generatori di corrente scarseggia, così come il riscaldamento e l’acqua, distribuita solo in alcuni punti lungo le strade», racconta Andrea Viola, consigliere di amministrazione della Fondazione Giovanni Paolo II e responsabile della campagna di sensibilizzazione “Cristiani in Siria”, che da un anno e mezzo sostiene le famiglie cristiane di Aleppo. «A febbraio scorso – prosegue – sono andato ad Aleppo per rendermi conto personalmente della situazione: purtroppo siamo ancora in fase di piena emergenza, ci vuole tempo. Il progetto avviato con il Bambino Gesù va però verso uno sviluppo e un accompagnamento alla rinascita e alla normalizzazione».

Nell’ambito del progetto infatti verranno proposte strategie di intervento e trattamento psico educativo per bambini e operatori. In particolare, si aiuteranno i piccoli a entrare in contatto con le proprie emozioni, paure e pensieri, per poterli accompagnare nell’elaborazione del trauma. Ancora, verranno pianificate attività per favorire l’alfabetizzazione emotiva e saranno realizzati appositi spazi ludici per facilitare l’espressione delle emozioni e le relazioni positive di fiducia e di vicinanza. (Maria Rosaria Pezzuto)

26 aprile 2017