Cat Stevens-Yussuf, musica di speranza alla ricerca del vero

Il nuovo disco dell’autore di “Father and son” e “Morning has broken”, il migliore dopo la conversione all’Islam alla fine degli anni ‘70

Oggi è veramente arduo riuscire a capire cosa stia accadendo nel mondo islamico. Delitti e vicende di efferata violenza, interessi sotterranei e forse mondiali dietro le stragi, impossibilità di dialogo e speranza di reciproco rispetto sono le cose che attraversano i cuori e le notizie quotidiane, a tal punto da non permetterci più di comprendere dove stia la verità spirituale di una delle grandi religioni monoteiste, una delle tre che continuano a considerare Gerusalemme come loro città santa.

Una storia insolita che in qualche modo si ascrive al mondo islamico così difficile da comprendere e fissare è quella di Cat Stevens, uno dei massimi autori inglesi di musica pop e rock, l’uomo che ha scritto e interpretato canzoni eterne come Father and Son, Peacetrain, Moonshadow, Wild world, Sitting, Morning Has Broken, Oh Very Young.

La conversione all’Islam di questo musicista britannico (figlio di un greco ortodosso e di una svedese protestante) è della fine degli anni Settanta, a seguito di un “miracoloso” ritorno alla spiaggia al termine di una nuotata drammatica nelle acque oceaniche della California. In realtà, come lo stesso Cat Stevens poi racconterà, la conversione ai precetti del Corano è stata per lui un cammino lungo parecchi anni, al termine del quale il musicista avrà a dire: dopo aver compiuto quel percorso di purificazione, finalmente mi sono sentito a casa.

Un cammino decisamente spirituale in realtà è sempre stato presente in modi differenti e forse anche impalpabili nella produzione di Cat Stevens, magari in forme sincretiste e bizzarre, come già mostrato in una canzone come Jesus (1974), nella quale si mettevano in luce saggezza e benevola illuminazione di Gesù e Buddah, considerati personaggi illuminanti e salvifici in modo simile.

Ma con la conversione alla parola di Maometto, tutta quella carica di fortissima umanità che è sempre stata presente nelle canzoni di Stevens, ha assunto un connotato imprevedibile, visto che il musicista si è offerto al silenzio discografico. Dopo la sua conversione e l’assunzione del nome di Yussuf, Cat ha infatti abbandonato per lunghi anni l’attività musicale, impegnandosi in attività educative, culturali ed assistenziali: ha fondato a Londra una scuola elementare islamica e una rete di scuole medie e superiori che onorano la periferia della capitale inglese; a queste attività ha poi associato attività di assistenza a orfani musulmani delle guerre in Africa e nei Balcani.

Anche le più recenti attività concertistiche, il ritorno in sala di registrazione per due dischi e le presenze in televisione (ê stato quest’anno al Festival di San Remo) sono riconducibili in un qualche modo al tentativo di Cat Stevens-Yussuf di finanziare queste opere educative e di sostegno a persone in difficoltà, visto che non sempre (anzi) i denari che girano nel mondo islamico finiscono a sostenere chi soffre.

Yussuf ha appena pubblicato il suo nuovo disco, il quattordicesimo dal 1967, probabilmente il migliore della sua “stagione musulmana”. Si tratta di Tell’em I’m gone, un album di dieci canzoni che fa apprezzare a chiunque il ritorno superbo di uno dei più grandi autori della storia della musica leggera. Nei suoi anni d’oro (1970-1975) Cat Stevens ha mostrato una capacità di unire leggerezza, qualità e prolificità ad un livello così alto da poter trovare forse solo in Paul Simon e Johnny Fogerty un rivale degno di sfida. Poi le cose della vita l’hanno portato verso altri interessi. Oggi quella qualità è tornata.

Nel disco in questione ci sono alcune cover ben interpretate ed arrangiate, ma soprattutto ci sono una manciata di canzoni indiscutibilmente e irresistibilmente sue (a prescindere da chi ne sia l’autore) tra cui brillano Doors, Dying to live, Editing floor.

Il bilanciamento tra ballata, ispirazione gospel e filastrocca (chi ricorda la colonna sonora di Harold e Maude avrà nostalgia di quelle suggestioni radicate nell’infantile, ma lanciate verso il cosmico e l’esistenziale….) è un suo marchio di fabbrica, che valeva in Where do the children play come oggi vale in Dying to live (“So I’ll keep fighting to live till there’s no reason to fight/ And I’ll keep trying to see until the end is in sight/ You know I’m trying to give so c’mon give me a try/ You know I’m dying to live until I’m ready to die”).

E l’ispirazione biblica che attraversava Morning has broken riemerge in un soul-blues emozionante come Doors, inno alla vita che riparte sempre e comunque, inarrestabile nel suo essere “altra” dai tentativi dell’uomo:

 

When a flower dies

Somewhere, there’s flower blooming

When a Sun goes down

There’s a Moon rising

When a door is closed

Somewhere, there’s a door that’s opening

 

 

Il musicista di questo disco è la faccia di un islamismo europeo, occidentalizzato ed elegante: questo han detto e scritto in molti in Inghilterra. È vero. Non ci sono le violenze e i terrori dell’Isis o dell’Afghanistan, del Sudan o del Pakistan. Non ci sono i giovani che abbandonano Londra per andare ad arruolarsi sotto un califfo pakistano.Qui c’è un altro Islam, che conosce il termine della parola speranza, rispetto, dignità, ricerca, dubbio, illuminazione; c’è un Islam che spinge ad abbandonare i falsi dei e i falsi imperatori (I was raised in Babylon), che suggerisce di ricercare il vero che luccica invece del potere che oscura.

Cat Stevens-Yussuf è stato ed è a 65 anni un grande ricercatore di umanità e questo ultimo disco lo conferma, con una vena positiva e bellissima, che suggerisce squarci di blues, sussurri di folk, improvvise ventate di pop-rock. E tra le belle canzoni ci mostra come la conversione all’Islam sia in grado di dare equilibrio, serenità, prospettiva ad un grande musicista che da quasi quarant’anni opera per dare edificazione ed assistenza a migliaia di giovanissimi musulmani in terra europea. La sua è musica di speranza. Ascoltiamola. E speriamo che faccia breccia laddove pare trionfare il sonno della ragione e dove la parola pacificante dell’Essere supremo sembra proprio non trionfare.

 

20 novembre 2014