40 anni di Roma Sette, radici salde per raccontare Chiesa e città

La prima uscita dentro Avvenire fu il 17 novembre 1974. Non si può non ripartire da quelle radici di fede e coraggio, tenacia e creatività, desiderio di restituire «l’immagine di una comunità viva e fraterna»

Elio Venier, prete a tutto tondo, friulano conquistato da Roma, ci guarda sorridente. La sua fotografia è qui, nella redazione del giornale di cui è stato il «papà». E oggi, che Roma Sette si appresta a festeggiare 40 anni – la prima uscita dentro Avvenire fu il 17 novembre 1974 – non si può che ripartire da quelle radici. Radici di fede e coraggio, tenacia e creatività, desiderio di restituire attraverso l’informazione «l’immagine di una comunità viva e fraterna». In questo humus affonda il settimanale che pian piano ha cambiato volto, aprendosi nuovi varchi con l’approdo al web. Di queste radici siamo grati a chi ci ha preceduto, indicando una rotta preziosa.

Venier parlava di un giornale «del nostro buon popolo, non dei tecnici o degli specialisti delle problematiche religiose», il cardinale Poletti lo volle come un «segno di comunione e di vitalità»; così è stato custodito negli anni, e così abbiamo cercato di guidarlo – con gli inevitabili errori – nelle strade sempre più affollate dell’era digitale. Se per una persona il traguardo dei 40 anni suscita domande e riflessioni, così è anche per un giornale, dove la domanda, del resto, è appuntamento ineludibile di ogni settimana. Avremo dato le notizie con equilibrio, con completezza, nel rispetto della verità? Avremo colto l’interesse dei lettori? Avremo offerto quel punto di vista che può aiutare a tenere gli occhi aperti sui fatti della città e del mondo con l’aiuto della luce che viene dal Vangelo? Quali errori avremo fatto? Dove possiamo fare meglio? Domande che incalzano il nostro lavoro e spingono, da un lato, a un impegno sempre più adeguato alle esigenze di una società e di un sistema informativo in continua trasformazione, dall’altro alla fedeltà costante verso le radici di Roma Sette e i suoi obiettivi.

Delineare il volto bello della Chiesa locale raccontando i fatti della settimana, le storie, soprattutto quelle più nascoste dove si «annida» il bene. Mettere a nudo problemi vecchi e nuovi che toccano la vita delle famiglie, oggi duramente provata dalla crisi. Offrire una parola sui temi dove la dignità degli uomini e delle donne è messa in gioco, avendo nel cuore la certezza che «misericordia e verità s’incontreranno». C’è tutto questo al cuore di un lavoro che è inevitabilmente «di squadra». La «squadra» dei giornalisti, di chi quotidianamente pensa e fa per realizzare il prodotto che finisce nelle edicole o quello che approda sul web («fratello minore» del cartaceo per età ma non per proposta, con una ormai matura autorevolezza); «squadra» dotata di competenza, responsabilità, determinazione e fedeltà a quell’humus di cui il giornale è figlio.

Ma anche la «squadra» dei lettori, senza i quali questo giornale, come ogni giornale, non esisterebbe. Oggi, quindi, o meglio il prossimo 17 novembre, non sarà solo la festa di chi a Roma Sette lavora o collabora o ha lavorato o collaborato, ma più ancora di chi lo nutre, sì, con la sua attenzione, la sua stima, il suo incoraggiamento e, perché no, il suo accento critico. Tutti però consapevoli dell’importanza della presenza del «nostro» settimanale e pronti a sostenerlo – insieme ad Avvenire – con la lettura e la diffusione, anche in un tempo dove la crisi (non solo economica) preme, in cui una voce per la «comunione» e la «vitalità» ha senso ancora più che in altri tempi. Il presente e il futuro di un giornale, ancorato solidamente alle sue radici, vive proprio di quel nutrimento. Vogliamo continuare a contarci, accanto allo sguardo sorridente di Venier.

 

17 novembre 2014