Migranti, Minniti: «L’accoglienza diffusa ha bisogno di rimpatri». Il nodo minori

Il ministro dell’Interno in audizione davanti al Comitato Schengen. «Severità verso chi è fuori delle regole. Integrazione per chi le rispetta»

Il ministro dell’Interno in audizione davanti al Comitato Schengen. «Severità verso chi è fuori delle regole. Integrazione per chi le rispetta»

«Severità verso chi è fuori delle regole e non rispetta le regole. Integrazione per chi è nelle regole e rispetta le regole. Più si è severi più si è capaci di integrazione». Così il ministro dell’Interno Marco Minniti, in audizione davanti al Comitato Schengen.
«In questa partita Regioni e Comuni sono interlocutori fondamentali – ha aggiunto -. Avere uno Stato che possa contare su un’alleanza con i poteri locali è un punto di rafforzamento per l’intervento dello Stato». Quindi ha continuato: «La mia convinzione è che su questi temi si tratta di suonare più tasti contemporaneamente. Se abbiamo una tastiera e suoniamo un tasto per volta non viene fuori una buona sinfonia». Ecco, «su queste questioni si gioca una sfida che riguarda gli equilibri delle nostre democrazie. Non è una questione marginale, su questo si gioca un pezzo grande del futuro delle democrazie». Mi auguro che «il Parlamento voglia accogliere questa sfida».

Centri permanenti per il rimpatrio, piccoli e fuori dai centri urbani. «Ho avanzato la proposta di costituire dei Centri permanenti per il rimpatrio nei piccoli centri. Il totale è di 1.600 posti su tutto il territorio nazionale. L’ipotesi è di uno in ogni regione. Lo stiamo facendo con le Regioni», abbiamo già incontrato la Conferenza delle regioni che «ha proposto un nucleo ristretto per ragionare su questi temi. Ora siamo nella fase tecnica». Dunque, dice ancora, si tratta di piccole strutture, «preferibilmente fuori dai centri urbani». Sono «un’altra cosa rispetto ai Cie ed è giusto cambiarne il nome. Mi auguro che il parlamento valuti positivamente questo».

L’accoglienza diffusa ha bisogno dei rimpatri. «Abbiamo fatto una scelta molto netta, quella di puntare sull’accoglienza diffusa». Questo consente di «andare verso il superamento progressivo dei grandi centri. I numeri piccoli o medi garantiscono un atteggiamento più rispettoso verso chi viene accolto e al tempo stesso si è più capaci di creare un rapporto positivo con le comunità che accolgono. I piccoli numeri consentono di gestire meglio» il flusso. Per il ministro, però, «l’accoglienza diffusa è praticabile solo se abbattiamo i tempi per la decisione sul diritto di asilo. Quello è un punto cruciale». Inoltre, sottolinea, Minniti, «tempi così lunghi impattano sul diritto del richiedente, che ha il diritto di veder riconosciuto» rapidamente «il sì o il no alla sua richiesta», e anche «sulla sensibilità delle comunità». Venerdì, aggiunge, «il governo ha agito per decreto e si è assunto la responsabilità» di intervenire «con la cancellazione di un grado di giudizio, cosa non semplice. Poi il parlamento discuterà» e deciderà. Insomma, insiste Minniti, «l’accoglienza diffusa ha bisogno di una politica dei rimpatri. Noi accogliamo quelli che hanno bisogno di protezione nel momento in cui c’è una pronuncia definitiva. Chi ha diritto rimane e chi e fuori delle regole deve essere rimpatriato». Importante per raggiungere questo risultato anche il lavoro con i Paesi da cui provengono. «Abbiamo lavorato – spiega il ministro – per contenere i tempi di identificazione», ad esempio con la Tunisia. «Se ce la facessimo a ridurli a meno di un mese» sarebbe «un importantissimo risultato. Il problema sono i sistemi informatici» perché «in altri Paesi i sistemi non sono immediatamente collegabili al nostro». Siamo «al lavoro per aiutarli a dotarsi di sistemi più efficienti».

Minori non accompagnati. Ritengo che sia «molto importante completare l’iter del ddl per i minori non accompagnati. È un punto cruciale», per Minniti, perché «lo scorso anno c’è stato il raddoppio delle presenze dei minori non accompagnati. Se posso impegnare il parlamento, su questo terreno si gioca il livello di civiltà di un Paese». Ed è «importante l’accordo e la cooperazione in Senato» affinché «il ddl arrivi presto in aula e si giunga a una rapida approvazione».

Relocation del tutto insoddisfacenti. «Il quadro delle relocation è del tutto insoddisfacente. Erano stati fissati per l’Italia 40 mila ricollocamenti, ma ad oggi quelli operativi sono soltanto 3.200. Abbiamo raggiunto un accordo con la Germania, ma la disponibilità della Germania non risolve il problema». E «faccio presente che le relocation erano obbligatorie». Minniti sottolinea che «il nodo resta Dublino, ma in Europa le risposte all’esigenza di un cambiamento di quell’accordo in senso più solidale non vanno per ora nella direzione».

Euformed e l’autorizzazione della Libia che non c’è. Rispondendo a una domanda della presidente Laura Ravetto (FI), Minniti ha poi affermato: «La terza fase di Euformed, cioè l’intervento nelle acque territoriali libiche, si può fare soltanto a due condizioni: che ci sia l’autorizzazione da parte della autorità libiche, cosa che al momento non c’è e non mi sembra ci possa essere, ovvero una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, cosa che anche qui non mi sembra alle viste. Nel momento in cui le autorità libiche dicono “no” all’ingresso nelle loro acque territoriali – ha aggiunto Minniti – è importante mettere nelle condizioni la Coast Guard di fare l’intervento e quindi, da questo punto di vista, la cooperazione, la fornitura di materiale, mezzi, motovedette, tutte cose che si stanno già realizzando. Lunedì scorso – ha annunciato – si è fatta una riunione della Sala operativa congiunta italo-libica che ha esaminato il trattato e ha lavorato molto su questi elementi. Abbiamo completato la formazione di un primo nucleo di equipaggi libici per quanto riguarda la Coast Guard e lo si è fatto a bordo della nave militare italiana San Giorgio, adesso gli equipaggi sono pronti». A questo punto, ha concluso Minniti, «si possono ricominciare restituire le motovedette alle autorità libiche in maniera tale che la Coast Guard in grado di operare nelle acque territoriali libiche».

15 febbraio 2017