Il Papa ai consacrati: «No alla tentazione della sopravvivenza»

Francesco a San Pietro ha celebrato la Giornata della vita consacrata. Ai religiosi: «Mettere Gesù al centro e far parte delle trasformazioni sociali»

Francesco a San Pietro ha celebrato la Giornata della vita consacrata. Ai religiosi: «Mettere Gesù al centro e far parte delle trasformazioni sociali» 

Nel giorno della Presentazione di Gesù al tempio Papa Francesco ha celebrato la Messa a San Pietro con la partecipazione di migliaia di religiosi e religiose per ricordare la Giornata della vita consacrata. Nella festa che la tradizione popolare chiama della “candelora”, la celebrazione liturgica è iniziata con la benedizione delle candele e la suggestiva processione nella Basilica Vaticana.

 Nell’omelia, Francesco ha ricordato che «l’incontro di Dio col suo popolo suscita la gioia e rinnova la speranza». Il Papa ha sottolineato che «Simeone non solo ha potuto vedere, ma ha avuto anche il privilegio di abbracciare la speranza sospirata, e questo lo fa esultare di gioia. Il suo cuore gioisce perché Dio abita in mezzo al suo popolo; lo sente carne della sua carne. La liturgia di oggi ci dice che con quel rito, quaranta giorni dopo la nascita, il Signore si assoggettava alle prescrizioni della legge antica, ma in realtà veniva incontro al suo popolo che l’attendeva nella fede». E citando il canto di speranza dello stesso Simeone e della profetessa Anna, il Papa ha aggiunto che «la vita merita di essere vissuta con speranza perché il Signore mantiene la sua promessa; e in seguito sarà lo stesso Gesù a spiegare questa promessa nella sinagoga di Nazaret: i malati, i carcerati, quelli che sono soli, i poveri, gli anziani, i peccatori sono anch’essi invitati a intonare lo stesso canto di speranza. Gesù è con loro, è con noi».

Il Papa ha ricordato anche che «questo canto di speranza lo abbiamo ricevuto in eredità dai nostri padri (…) Siamo eredi dei sogni dei nostri padri, eredi della speranza che non ha deluso le nostre madri e i nostri padri fondatori, i nostri fratelli maggiori. Siamo eredi dei nostri anziani che hanno avuto il coraggio di sognare; e, come loro, oggi vogliamo anche noi cantare: Dio non inganna, la speranza in Lui non delude». Un passaggio fondamentale per richiamare il senso attuale della vocazione dei religiosi, per «ritrovare nuovamente ciò che un giorno ha infiammato il nostro cuore. Sogno e profezia insieme». Uno slancio rinnovato per non abbassare la guardia di fronte a «una tentazione che può rendere sterile la nostra vita consacrata: la tentazione della sopravvivenza. Un male che può installarsi a poco a poco dentro di noi, in seno alle nostre comunità.

L’atteggiamento di sopravvivenza ci fa diventare reazionari, paurosi, ci fa rinchiudere lentamente e silenziosamente nelle nostre case e nei nostri schemi. Ci proietta all’indietro, verso le gesta gloriose – ma passate – che, invece di suscitare la creatività profetica nata dai sogni dei nostri fondatori, cerca scorciatoie per sfuggire alle sfide che oggi bussano alle nostre porte. La psicologia della sopravvivenza toglie forza ai nostri carismi perché ci porta ad addomesticarli, a renderli “a portata di mano” ma privandoli di quella forza creativa che essi inaugurarono». «La tentazione della sopravvivenza – ha aggiunto Francesco – trasforma in pericolo, in minaccia, in tragedia ciò che il Signore ci presenta come un’opportunità per la missione».

E qual è il rimedio a questa tentazione? «Mettere Gesù là dove deve stare: in mezzo al suo popolo» ha detto il Pontefice, come Maria che ha messo il Bambino in braccio all’anziano Simeone. «Solo questo potrà restituirci la gioia e la speranza, solo questo ci salverà dal vivere in un atteggiamento di sopravvivenza. Solo questo renderà feconda la nostra vita e manterrà vivo il nostro cuore».

Ma i consacrati, ha rimarcato il Papa, di fronte alla «trasformazione multiculturale» del mondo deve essere in grado di stare «nel cuore di queste grandi trasformazioni. Il Signore – ha spiegato Francesco – ci ha invitato a lievitare qui e ora, con le sfide che ci si presentano. Non con atteggiamento difensivo, non mossi dalle nostre paure, ma con le mani all’aratro cercando di far crescere il grano tante volte seminato in mezzo alla zizzania. Mettere Gesù in mezzo al suo popolo significa avere un cuore contemplativo, capace di riconoscere come Dio cammina per le strade delle nostre città, dei nostri paesi, dei nostri quartieri. Mettere Gesù in mezzo al suo popolo significa farsi carico e voler aiutare a portare la croce dei nostri fratelli. È voler toccare le piaghe di Gesù nelle piaghe del mondo, che è ferito e brama e supplica di risuscitare. Metterci con Gesù in mezzo al suo popolo! Non come attivisti delle fede, ma come uomini e donne che sono continuamente perdonati, uomini e donne unti nel battesimo per condividere questa unzione e la consolazione di Dio con gli altri». «Accompagniamo Gesù – ha concluso il Papa – ad incontrarsi con il suo popolo, ad essere in mezzo al suo popolo, non nel lamento o nell’ansietà di chi si è dimenticato di profetizzare perché non si fa carico dei sogni dei suoi padri, ma nella lode e nella serenità».

3 febbraio 2017