12 vescovi, il segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali d’europa (Ccee) Duarte da Cunha e, per i presuli del Sud Africa, padre Peter-John Pearson. Questi i partecipanti al pellegrinaggio in Terra Santa dell’Holy Land coordination, che si conclude oggi, giovedì 19 gennaio. Presuli di Unione europea, Usa, Canada e Sud Africa, che affidano a un comunicato finale le loro riflessioni. A partire dal dramma dell’occupazione militare che da 50 anni colpisce Cisgiordania e Gerusalemme est e dal blocca di Gaza in atto da 10 anni: una violazione della «dignità umana sia dei palestinesi che degli israeliani». Di più: «Uno scandalo – scrivono i vescovi – cui non dobbiamo mai abituarci».

Il pellegrinaggio, ormai tradizionale per l’Holy Land coordination, ha toccato Gaza (12 e 13 gennaio), Jaffa, Betlemme, Gerusalemme e Hebron. «Tantissime persone nella Terra Santa hanno trascorso tutta la loro vita sotto l’occupazione, con la sua segregazione sociale polarizzante, ma ancora professano la speranza e la lotta per la riconciliazione. Ora più che mai, costoro meritano la nostra solidarietà», si legge nella nota con la quale i vescovi ribadiscono la loro «responsabilità di opporsi alla costruzione degli insediamenti». Una annessione “de facto” di terre che «non solo mina i diritti dei palestinesi in aree come Hebron e Gerusalemme Est, ma, come ha recentemente riconosciuto l’Onu, mette in pericolo anche le possibilità di pace».

Nel messaggio dei vescovi c’è anche l’indicazione di un’altra priorità: «Fornire assistenza alla popolazione di Gaza, che continua a vivere in mezzo a una catastrofe umanitaria generata dall’uomo stesso» e aggravata da un «decennio sotto assedio», da uno «stallo politico causato da una mancanza di buona volontà di tutte le parti in causa». Quindi l’incoraggiamento, sulla scorta delle parole di Papa Francesco, alla «resistenza non violenta che ha ottenuto grandi cambiamenti in tutto il mondo». Particolarmente necessaria, riflettono i presuli, di fronte a «ingiustizie quali l’incessante costruzione del muro di separazione in terra palestinese, inclusa la Valle di Cremisan».

Il messaggio finale promuove la soluzione dei due Stati già auspicata dalla Santa Sede e rilancia l’aiuto verso la Chiesa locale, le sue agenzie, i volontari e le ong. «Nelle circostanze più difficili mostrano una grande resilienza e svolgono un lavoro che cambia la vita – si legge nel testo -. È la nostra fede in Dio che ci dà speranza. È la testimonianza dei cristiani in Terra Santa che abbiamo incontrato, soprattutto quella dei giovani, che ci ispira”. quindi un invito: «Nel corso di questo 50° anno di occupazione dobbiamo pregare per la libertà di ognuno in Terra Santa e sostenere in modo concreto tutti coloro che lavorano per costruire una pace giusta».

Tracciando un bilancio del pellegrinaggio compiuto, monsignor da Cunha conferma: «Non possiamo tacere. Non lasciare che nel cuore dei cristiani e delle società occidentali un conflitto aperto da 50 anni, con un’occupazione militare in atto, passi per “normale”. Invece è uno scandalo. C’è una responsabilità anche pastorale che dobbiamo assumerci come sacerdoti e vescovi che è quella di portare il popolo a prestare attenzione alla Terra Santa, con tutte le sue luci e le sue ombre». Il segretario generale del Ccee sottolinea anche la necessità «di pregare, di gridare a Dio. I muri che gli uomini hanno costruito qui sono troppo alti perché possano essere distrutti soltanto umanamente. Abbiamo visto cadere dei muri che nessuno credeva potessero crollare. Sono il segno della Provvidenza di Dio che assiste l’uomo».

A rappresentare l’Italia nel coordinamento dei vescovi di Usa, Ue, Canada e Sud Africa, l’arcivescovo di Arezzo Riccardo Fontana. «Abbiamo voluto riaffermare con concretezza i diritti dei poveri – commenta a proposito del pellegrinaggio appena concluso -. Concretezza che ci ha permesso di parlare non in modo astratto di ciò che abbiamo visto e sentito dalle persone incontrate e da cui deriva la responsabilità, citata più volte nel messaggio finale, di difendere il diritto e la giustizia dei due popoli. Essi – continua – sono espressione di due povertà che si combinano insieme: i palestinesi oppressi e gli israeliani pieni di paura».

Per l’arcivescovo, il messaggio finale «non ha solo un valore politico ma anche e soprattutto ecclesiale. Ciò che sta a cuore a noi vescovi – spiega – è la giustizia e la pace di questi popoli che si contrappongono per la terra. Nostra intenzione è sostenere palestinesi e israeliani, cristiani, musulmani e ebrei, e tutti coloro che sono impegnati a trovare le vie più giuste per una soluzione del conflitto che dura ormai da 50 anni e al quale non dobbiamo abituarci, come scriviamo nel messaggio finale». Fontana indica anche uno degli strumenti a disposizione: il pellegrinaggio, appunto, «un cammino di preghiera rivolta a Dio per la libertà di israeliani e palestinesi e per coloro che lavorano in modo concreto per costruire una pace giusta».

19 gennaio 2017