Migranti. Abdul e Faris: viaggi disperati e sogni di futuro

Il primo, 28 anni, sfuggito alla dittatura dell’Eritrea; il secondo, 32, senegalese, a piedi dalla Grecia in Ungheria. Ora sono ospiti del Ferrhotel Caritas

Il primo, 28 anni, è sfuggito alla dittatura dell’Eritrea; il secondo, 32, senegalese, è arrivato a piedi dalla Grecia in Ungheria. Ora sono ospiti del Ferrhotel Caritas

Nello sguardo triste e spento la nostalgia del proprio Paese e degli affetti lasciati; nella luce che improvvisa riaccende gli occhi la speranza di un futuro migliore. Abdul e Faris, i nomi sono di fantasia, hanno 28 e 32 anni e vengono rispettivamente dall’Eritrea e dal Senegal. Sono ospiti del centro di accoglienza per stranieri della Caritas di Roma “Ferrhotel”, un ex albergo per ferrovieri in via del Mandrione, a Porta Furba. Abdul è arrivato in Italia 3 anni fa dopo un viaggio di 34 ore, «molto pericoloso», costato duemila dollari, a bordo di un barcone partito dalla Libia con 200 persone a bordo. Orfano di madre fin da piccolo, in Eritrea ha lasciato il papà e tre fratelli. Parla un discreto italiano e racconta di essere stato costretto a lasciare la sua terra perché le condizioni di vita erano difficili: «Là c’è la dittatura».

Riferisce di un Paese chiuso e militarizzato, dove «non si è liberi di fare nulla», il regime controlla ogni cosa tanto che, nel 2016, Reporter senza frontiere lo colloca all’ultimo posto nella classifica sulla libertà di stampa. L’unico desiderio di Abdul era studiare, e annovera il giorno della maturità come «il più bello della sua vita» insieme a quello in cui è arrivato in Italia. Voleva frequentare la facoltà di ingegneria all’università ma in Eritrea c’è il servizio militare obbligatorio per tutti. Non è riuscito a ottenere un certificato che attesti il conseguimento del diploma, pertanto ha ripreso gli studi in elettronica presso un istituto tecnico industriale all’Anagnina; nel tempo libero lavora come promoter al Colosseo. Ha nostalgia della famiglia e del suo Paese ma sa di non poter tornare in Eritrea perché lo arresterebbero subito. Teme che i familiari possano prendere la decisione di fuggire per raggiungerlo. «Il viaggio è stato lungo e pericoloso – ricorda -. Non dimenticherò mai la traversata in mare su quella barca troppo piccola per 200 persone».

Faris è fuggito dal Senegal nel 2011. È stato prima in Turchia, poi per due anni in Grecia dove ha lavorato come barista. Con 32 amici lasciò la Grecia e raggiunse a piedi l’Ungheria, dove però dopo 21 giorni di cammino arrivarono solo in 13. Dopo un periodo trascorso in Germania, circa due anni fa è giunto in Italia. Nel suo Paese ha frequentato un istituto alberghiero e gli piacerebbe fare il receptionist in un grande albergo di Roma. Al momento svolge un tirocinio per lavori edili. «Vorrei restare qui – dice -, trovare una fidanzata e creare una famiglia perché credo sia una cosa importante per un uomo. Sogno un futuro sereno». Lo sguardo si incupisce improvvisamente quando parla dei genitori e della sorella lasciati in Senegal. «Erano d’accordo che partissi – racconta -. Ma ci sentiamo raramente e mi mancano tanto».

Il centro di accoglienza “Ferrhotel”, il cui responsabile è Alessandro Agostinelli, ha iniziato la sua attività nel 1999 e dal 2014 è entrato nel Sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati (Sprar). La struttura, ubicata a due passi dalla ferrovia, aperta 24 ore su 24, ha una superficie di 1.200 metri quadrati suddivisi su due livelli ed è composta da 27 stanze doppie destinate agli ospiti: ci sono anche uffici, lavanderia, mensa, sala tv e lettura. Accoglie 54 uomini adulti, alcuni di questi vittime di tortura, richiedenti lo status di rifugiato e beneficiario di protezione internazionale. La struttura offre loro la prima colazione e la cena; per il pranzo si recano alla mensa Caritas di via delle Sette Sale. Trascorrono la giornata a scuola d’italiano o al lavoro. L’accesso allo Sprar avviene solo con autorizzazione dell’Ufficio Immigrazione del Comune e il tempo di accoglienza è di 180 giorni. È stato allestito anche uno spazio di semi–autonomia con 10 camere singole occupate da stranieri che lavorano e pagano una piccola quota. «Li aiutiamo a diventare autonomi – spiega Agostinelli -. Due volte la settimana incontrano un tutor che spiega loro come gestire un bilancio familiare».

16 gennaio 2017