La preghiera per Gregory, ucciso dal freddo
Organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio una veglia nel luogo in cui il clochard polacco ha perso la vita. «Ci resti la domanda: “Cosa ho fatto io?”»
Organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio una veglia nel luogo in cui il clochard polacco ha perso la vita. «Davanti ai suoi occhi azzurri, ci resti la domanda: “Cosa ho fatto io?”»
Una morte invisibile. Grzegorz Sieja, 58 anni, polacco, è deceduto lunedì notte al Trullo: lo ha ucciso il freddo. Gregory, come lo chiamavano i suoi amici, era un clochard che abitava tra Ladispoli e la periferia di Roma. L’estrema povertà lo aveva lasciato definitivamente per strada, dove è stato trovato privo di vita. La Comunità di Sant’Egidio non ha voluto che la prima vittima dell’abbandono di questa stagione se ne andasse senza un ricordo, e ha organizzato martedì 20 una veglia per commemorarlo, proprio nel luogo dove ha perso la vita, all’angolo tra via Monte Cucco e via del Trullo. «Ogni volta diciamo “non deve ripetersi più”, invece si ripete», ha detto con veemenza Mario Mancini, volontario della Comunità di Sant’Egidio che gestisce le attività di assistenza nel quartiere: «Si deve fare di più. Una richiesta, questa, che rivolgiamo anche a noi stessi», ha continuato, e ha ricordato Gregory insieme a don Alessandro Cavallo, parroco della chiesa di San Raffaele Arcangelo.
Alla veglia gli intervenuti sono stati molto pochi, tra loro i passanti che avevano incrociato più spesso la vita di Gregory e i suoi amici, “barboni” come lui. Alcuni di loro condividevano la baracca fatiscente dove l’uomo passava le notti, vicina al capannello in preghiera. Oggi, mercoledì 21 dicembre, nell’undicesimo municipio è in programma un incontro della commissione politiche sociali per parlare delle condizioni di vita dei senzatetto. Altri municipi, fa sapere Mancini, si stanno attivando: «Chiedo a tutti di fare il possibile e anche di più per dare risposta a chi vive nelle nostre strade». Per la Comunità occorre accelerare l’impegno per rendere Roma più accogliente e solidale, non si può restare indifferenti nei confronti di questo dramma. I volontari, come ogni inverno, preparano bevande calde e cercano di portare di che coprirsi a chi vive per strada. «Un po’ di calore può aiutare, ma il vero problema è trovare a loro un posto dove dormire – spiega a Roma Sette -. È difficilissimo». In questi ultimi anni, ricorda Mancini, i posti letto per i senzatetto, invece di essere aumentati, sono diminuiti: «Le istituzioni hanno la responsabilità di dare risposte a queste problematiche».
Le storie di chi vive per strada sono le più disparate. «Quello che è successo oggi è uno stimolo a fare di più – ha detto padre Cavallo -. Gesù ha detto che i poveri li avremo sempre con noi. Non risolveremo tutti i problemi del mondo, certe volte bisogna fermarsi di fronte al mistero delle persone, noi non conosciamo tutto delle persone. Ai poveri bisogna avvicinarsi in punta di piedi, rispettarli e amarli». Don Cavallo conosce molti disagiati, ma continua a emozionarsi quando ne parla, e descrive Gregory perché lo conosceva davvero, ricordando che aveva gli occhi azzurri e una fede molto forte: «Madre Teresa diceva che la povertà materiale è grande, ma nel mondo Occidentale c’è una grandissima povertà spirituale. Gregory era povero ma veniva spessissimo a pregare in Chiesa. Lui era povero ma aveva una fede viva. È morto da amico di Dio e questa è la cosa più importante». Per il parroco, ciò che è successo è un richiamo a tutta la società: «Comunque ci rimanga sempre dentro la domanda “cosa ho fatto io”, ci rimanga dentro davanti ai suoi occhi azzurri».
Mentre i pochi convenuti se ne vanno alla spicciolata, Enrich, un clochard che viveva con Gregory, saluta sorridendo i volontari della Comunità e si prepara ad affrontare un’altra sera che arriva, agitando una busta voluminosa: «Questa notte avrò una coperta».
21 dicembre 2016