Ricucci, Tg1: «A Mosul l’Isis perderà, ma la sfida è lunga»

Il giornalista è intervenuto al “Focus Medioriente” organizzato dalla Caritas diocesana: «La verità su Regeni? il suo corpo è prova del reato»

Il giornalista è intervenuto al “Focus Medioriente” organizzato dalla Caritas diocesana: «La verità su Regeni? il suo corpo è prova del reato» 

Per il mondo assurdo di questi media, questo conflitto è nato orfano e non farà figli. Lo ha scritto Amedeo Ricucci, inviato di guerra del Tg1, che giovedì pomeriggio ha parlato alla cittadella della Carità Santa Giacinta della Caritas nell’incontro “Dalla Libia all’Egitto, uno sguardo oltre la notizia”. Ricucci è tornato da poco da Mosul in Iraq, ed è stato invitato a prendere parte al ciclo di incontri “Focus Medio Oriente”, organizzato dall’area Pace e Mondialità della Caritas diocesana: «Le guerre non non nascono mai dal nulla. I media le seguono come avvenimenti da consumare giorno per giorno, finché improvvisamente casca l’attenzione perché si raggiunge quello che ritengono sia il livello di saturazione».

Dolori, sofferenze,
 la verità della guerra, ha spiegato Ricucci, che la racconta da 20 anni ed è stato sequestrato in Siria per 11 giorni nel 2013, non si saprebbe senza il giornalismo: «Gli eserciti per fare le guerre hanno bisogno di propaganda e tenuta patriottica, non dicono le vittime. Oggi non sappiamo quanti morti ci sono stati a Mosul, perché gli eserciti in campo non dicono quante perdite hanno avuto, ma io i morti li ho visti».

L’avanzata contro Isis non è una
marcia trionfale: «Sono stato a Sirte, in Libia, dove c’è stata una battaglia campale. Dopo 7 mesi non è ancora conclusa. Si combatte tutti i giorni ed è uno stillicidio. Così a Mosul. La sfida di Isis è lunga e bisogna dirlo». A Mosul, alla lunga l’Isis perderà: «questione di numeri»: «Si può anche sconfiggere del tutto – ha aggiunto Ricucci – ma le ragioni che hanno hanno permesso all’Isis di radicarsi sono lì». Per capire questo è fondamentale che un giornalista contestualizzi: «Ed è fondamentale la competenza».

Le storie, ha spiegato, sono una
strada. Come quella della piccola Nour, colpita da una scheggia di una bomba americana contro i jihadisti, e che presto si concluderà al Bambino Gesù di Roma. Ricucci ha documentato il suo incontro con la piccola e il suo papà, in fuga in cerca di un ospedale che la guarisse dalla cancrena alla gamba. Adesso Noura dovrebbe arrivare in Italia: «Per me è come se fosse piovuta dal cielo». Non tutte le immagini però sono così vere, come quelle delle donne curde combattenti: «Fanno specificamente parte del Rojava, il Kurdistan siriano. E lì non è detto che ci sia un’effettiva parità fra i sessi, è un’immagine che viene sfruttata: vi pare normale che nelle foto tutte le combattenti siano belle?». Ricucci ha poi parlato del caso di Giulio Regeni, il ricercatore torturato e ucciso in Egitto in circostanze ancora non chiare: «È passato quasi un anno e ancora non sappiamo la verità, ma il suo corpo è la prova del reato».

All’incontro, introdotto dalla giornalista Francesca Baldini e da Oliviero Bettinelli,‎ Responsabile Programmi Area Pace Mondialità Caritas, è intervenuto anche monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas diocesana: «a me Mosul porta alla mente ricordi antichi. Al ginnasio avevo un compagno iracheno che ha studiato con me in seminario, poi è diventato prete, poi è diventato vescovo di Mosul. Lì è stato ucciso da al-Qaeda». Per Feroci bisogna parlare di ciò che accade: «Grazie per questo sguardo – ha detto rivolgendosi a Ricucci – se riuscissimo a riportarlo in maniera forte nella nostra società, probabilmente quello che stiamo vedendo si fermerebbe. Davanti al dramma di Aleppo, Papa Francesco l’ha ripetuto tante volte, ormai ci siamo così abituati che quasi non ci facciamo più caso».

2 dicembre 2016