Verso il referendum/14. Raniero La Valle: «Cambiare politiche non Costituzioni»

Il presidente del Comitato per la democrazia internazionale spiega il suo “no” alla riforma Boschi: «La situazione va cambiata da scelte di sistema»

Il giornalista, presidente del Comitato per la democrazia internazionale, spiega il suo “no” alla riforma Boschi: «La situazione va cambiata da scelte di sistema»

Per Raniero La Valle, presidente del Comitato per la democrazia internazionale, l’attuale Costituzione è «una garanzia per quelli che vivono oggi e vivranno domani», e «buttarla al macero sarebbe un delitto». La situazione, aggiunge, «è grave e va cambiata», ma il traguardo «dev’essere indicato dalle scelte di sistema». Secondo il giornalista, che al referendum del prossimo 4 dicembre voterà “no”, «una società di pace, uguaglianza e diritti non è al di fuori della portata degli uomini e delle donne. Il problema non è cambiare le costituzioni – conclude – ma cambiare le politiche».

Quale è lo stato di salute della nostra Costituzione? Porta ancora bene gli anni che ha o le occorre un restyling?
La Costituzione vigente è una Costituzione presbite, nel senso che guardava lontano. Dal dopoguerra disegnava una società di uomini liberi e uguali, senza ostacoli che impedissero il raggiungimento del benessere e della felicità; guardava al futuro con istituzioni funzionanti che garantivano che non si ricadesse nelle oppressioni del passato. È ancora una garanzia per quelli che vivono oggi e vivranno domani, e buttarla al macero sarebbe un delitto.

Obiettivo della Riforma è il superamento del bicameralismo perfetto: occorre davvero?
Torniamo a una camera alta e una bassa, come durante il periodo regio. Tra tutte e due faranno un pasticcio che non è più una democrazia parlamentare: a quel punto il bicameralismo non sarà più paritario, certo, infatti sarà deforme.

Il Senato “ridotto” farà risparmiare lo Stato e dovrebbe fungere da raccordo tra Stato, Regioni e Comuni. Potrà proporre leggi ed emendamenti ma la Camera non avrà l’obbligo di prendere in considerazioni i suoi rilievi. Di fatto sarà un organo “svuotato” per alcuni aspetti ma per alcuni tipi di legge dovrà votare paritariamente insieme alla Camera. Funzionerà meglio?
Tutto è riformabile, ma la velleità di buttare a mare ciò che funziona per dare spazio a situazioni incontrollabili è da irresponsabili, non da classe dirigente che pensa al futuro del Paese. Le Regioni di fatto non ci sono più, tranne quelle a statuto speciale, che saranno rafforzate rispetto allo Stato. Le altre non hanno autonomia, negoziano ogni volta con il potere centrale. La filosofia dell’autonomia regionale è completamente soppressa, tutto è dello Stato, nulla delle Regioni, delle autonomie e delle popolazioni locali. Ma ci sono altre cose di cui non si parla e sono molto gravi: la partita della decisione sulla pace e sulla guerra viene sottratta al bicameralismo perché il Senato non potrà più pronunciarsi: la deliberazione spetterà solo alla Camera, peraltro eletta con il sistema elettorale che abbiamo in vigore.

A proposito del Titolo V: molte materie passerebbero alla competenza esclusiva dello Stato ma su alcune la definizione dei ruoli non è nettissima. Penso alla sanità: le Regioni hanno in capo l’organizzazione dei servizi, uno dei punti dove maggiormente è tangibile, ad esempio, la diseguaglianza tra nord e sud nell’accesso ai servizi. Come valutiamo la riforma dal punto di vista dell’autonomia delle Regioni?
Ormai il titolo V può solo raccontare la soppressione dell’autonomia, che resta solo per le Regioni a statuto speciale, portando con sé alcuni paradossi. Nelle Regioni a statuto speciale, ad esempio, i consiglieri regionali non possono essere né senatori né parlamentari per il divieto di cumulo delle due cariche: quindi come potranno far parte del Senato delle Regioni? Quest’ultimo, inoltre, avrebbe una quantità enorme di competenze, più di prima, tra cui le leggi costituzionali, il controllo politico sugli effetti delle politiche nazionali ed europee con scadenze molto strette: ad esempio, per le leggi su cui il governo ha chiesto l’urgenza dovrà esprimersi entro 5 giorni. Per potere corrispondere a queste scadenze i “nuovi” senatori dovrebbero stare a Roma: come può un sindaco o un membro del consiglio regionale rispettare un simile impegno?

Il referendum abrogativo prevederà un quorum ridotto mentre per proporre leggi di iniziativa popolare le firme necessarie saranno triplicate, da 50 a 150mila. Da una parte sarà più facile dire “no”, ma dall’altra non si rischia di scoraggiare l’interesse per la politica?
Ridurre il quorum è positivo, ma se il prezzo da pagare è la raccolta di 800mila firme per fare un referendum vuol dire togliere questa possibilità a dei cittadini normali. Quelle firme si raccolgono solo se si ha un partito alle spalle, sennò rimangono un miraggio. Stessa cosa per le 150 mila firme necessarie per presentare una legge popolare: sono troppe.

Soppressione del Cnel: cosa ne pensa? 
Il Cnel non è mai esistito, era un istituto atrofico che non ha mai funzionato: la riforma toglie la targhetta dalla porta.

Riassumendo: quali sono i lati positivi della riforma Boschi? Quali invece le criticità e i rischi?
Vedo positivamente l’abolizione del Cnel, il fatto che prevede che – se si riuscirà mai a proporre una legge iniziativa popolare – la Camera sarà obbligata a discuterla, il controllo preventivo di costituzionalità della corte sulle leggi elettorali….ma queste non sono cose per le quali vale la pena giocarsi la Costituzione. Il punto è se considerarla superata perché è del ’46 o se pensiamo che è ricca dell’esperienza del dopoguerra. Il problema è: perché si fa questa riforma? La vera posta in gioco è adeguare la Costituzione italiana alle nuove esigenze del mercato e della globalizzazione, alle nuove forze della sovranità dei mercati, delle esigenze delle banche, degli ambasciatori americani, delle commissioni trilaterali. Vogliamo questo o mantenere l’idea che la democrazia consista nel creare le condizioni per cui la vita valga la pena di essere vissuta?

Perché un elettore dovrebbe votare no?
Perché non dobbiamo adeguare il diritto, che è un “dover essere”, al fatto che le cose vadano male. La situazione è grave e va cambiata, ma il traguardo dev’essere indicato dalle scelte di sistema. Il costituzionalismo non è la struttura rigida di come devono essere organizzate le repubbliche, ma una proiezione sul futuro. Si può fare una società di pace, uguaglianza e diritti, non è al di fuori della portata degli uomini e delle donne. Questo ci dice il diritto, questo ci dice il costituzionalismo. Il problema non è cambiare le Costituzioni ma cambiare le politiche.

25 novembre 2016