Kenya: i rifugiati di Daab non vogliono tornare in Somalia

Appello di Msf, che ha intervistato 5.470 persone nel campo che sarà chiuso: 8 su 10 temono arruolamenti forzati e violenza

Appello di Msf, che ha intervistato 5.470 persone nel campo che sarà chiuso: «Il governo cerchi altre soluzioni». 8 su 10 temono arruolamenti forzati e violenza

In vista della chiusura annunciata del campo rifugiati più grande al mondo e del ritorno di migliaia di persone in una Somalia devastata dalla guerra, Medici senza frontiere (Msf) chiede al governo del Kenya e all’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) «di prendere in considerazione con urgenza altre possibilità, con il supporto dai Paesi donatori». In un rapporto intitolato “Dadaab to Somalia: Pushed Back Into Peril” e basato su testimonianze e interviste raccolte tra luglio e agosto su un totale di 5.470 persone, più di otto rifugiati su dieci intervistati dichiarano di «non voler ritornare nel Paese, principalmente per la paura di arruolamenti forzati nei gruppi armati, della violenza sessuale e della mancanza di servizi sanitari di base».

Nel rapporto di Msf si pone inoltre l’accento sulle «gravi conseguenze sanitarie» che avrebbe un ritorno così massiccio. «È evidente che i campi rifugiati non sono la soluzione migliore per gestire una crisi che si protrae da 25 anni ma la loro chiusura adesso, senza offrire altre soluzioni durevoli, spinge i rifugiati in una zona di conflitto dove le cure mediche sono gravemente assenti», dichiara Bruno Jochum, direttore generale di Msf. «Questa decisione – prosegue – è l’ennesimo insuccesso per la protezione dei rifugiati a livello globale e ancora una volta assistiamo a un totale fallimento nel fornire accoglienza alle persone in pericolo. Anche le Nazioni Unite hanno recentemente dichiarato che 5 milioni di persone sono a rischio carestia all’interno del territorio somalo. Rimandare indietro ancora più persone verso la sofferenza è sia inumano sia irresponsabile».

L’associazione ribadisce che aprire campi come quello di Dadaab lungo il confine «è solo un modo per scaricare la responsabilità e rinunciare alla protezione dei rifugiati. Alternative più durevoli, come l’allestimento di campi più piccoli in Kenya, l’aumento dei reinsediamenti in Paesi terzi o l’integrazione dei rifugiati nelle comunità keniote dovrebbero essere prese in considerazione urgentemente», sottolineano da Medici senza frontiere, chiedendo alla comunità internazionale «di condividere la responsabilità con il governo del Kenya».

14 ottobre 2016