Veglia pasquale del Papa: «Portare l’annuncio di speranza»

Francesco ha amministrato i sacramenti a 12 neofiti: cinque dall’Italia e gli altri da Bielorussia, Senegal, Libano, Francia e Vietnam

Francesco ha amministrato i sacramenti a 12 neofiti: cinque dall’Italia e gli altri da Bielorussia, Senegal, Libano, Francia e Vietnam

La basilica di San Pietro rimasta al buio dall’ora della Passione torna ad illuminarsi per la risurrezione di Cristo. E in San Pietro, come nelle chiese di tutto il mondo, il silenzio viene rotto dalla luce della notte di Pasqua. C’è «tanto bisogno oggi di speranza. Il Signore è vivo e vuole essere cercato dai vivi» e i cristiani sono chiamati «a portare l’annuncio di Pasqua», cioè «a suscitare e risuscitare la speranza» nei «cuori appesantiti dalla tristezza» di «chi fatica a trovare la luce della vita».

È questo il messaggio che il Papa ha annunciato a tutta la Chiesa, durante la veglia della notte di Pasqua celebrata la sera di sabato 26 marzo, iniziata con la benedizione del fuoco nell’atrio della basilica e la preparazione del cero pasquale. Poi la processione verso l’altare con il cero acceso e il canto dell’Exultet.

Francesco, nell’omelia, ha improntato il suo annuncio della risurrezione sul concetto di “speranza”. È speranza, infatti, quella che spinge Pietro a correre verso il sepolcro del Signore. Così il Papa ha esortato tutti ad aprire «al Signore i nostri sepolcri», affinché «Gesù entri e dia vita». È Lui infatti che «desidera venire e prenderci per mano» per «trarci fuori dall’angoscia». Ma la «prima pietra» da far rotolare è proprio «la mancanza di speranza che ci chiude in noi stessi». Ecco quindi l’invocazione al Signore affinché «ci liberi» dalla «terribile trappola» di «essere cristiani senza speranza», cristiani cioè che vivono «come se il Signore non fosse risorto e il centro della vita fossero i nostri problemi».

Papa Bergoglio ha ricordato che trasmettere la speranza diffondendo la Buona Notizia della Risurrezione è lo specifico ruolo dei cristiani. Una speranza che «non è semplice ottimismo, e nemmeno un atteggiamento psicologico o un buon invito a farsi coraggio. È invece – ha sottolineato il pontefice – un dono che Dio ci fa, se usciamo da noi stessi e ci apriamo a Lui». Avere speranza non significa ignorare il male del mondo. «Vediamo e vedremo continuamente – ha detto ancora – dei problemi vicino a noi e dentro di noi. Ci saranno sempre». Ma non bisogna cedere all’oscurità, «questa notte – ha spiegato il Papa – occorre illuminare tali problemi con la luce del Risorto, in certo senso evangelizzarli».

Francesco, inoltre, ha evidenziato che la Chiesa non è una struttura internazionale con un grande numero di adepti e delle buone regole. E forti di questa certezza, i cristiani sono chiamati a «suscitare la speranza nei cuori appesantiti dalla tristezza, in chi fatica a trovare la luce della vita, ed annunciare il Risorto con la vita e mediante l’amore». Ma questa speranza va anche nutrita, questo il è monito del Papa, facendo memoria delle opere di Dio, della sua storia di amore e di fedeltà verso l’umanità: «Facciamo memoria del Signore, della sua bontà e delle sue parole di vita che ci hanno toccato; ricordiamole e facciamole nostre, per essere sentinelle del mattino che sanno scorgere i segni del Risorto».

Durante la veglia di Pasqua, il Pontefice ha amministrato il battesimo, la prima comunione e la cresima a 12 neofiti, cinque provenienti dall’Italia e gli altri da Bielorussia, Senegal, Libano, Francia e Vietnam. Due le donne. Il più giovane, sette anni, ha ricevuto i sacramenti insieme al fratello di 10. Il più anziano era un vietnamita, 58 anni, che ha assunto il nome cristiano di Matthew.

29 marzo 2016