Casa, in dieci anni +133% di richieste di aiuto alla Caritas

Mangia a mensa o chiede di fare la doccia chi non ha più acqua calda o gas nella propria abitazione. Soddu: «Spia di un problema crescente»

Mangia a mensa o chiede di fare la doccia chi non ha più acqua calda o gas nella propria abitazione. Soddu: «Spia di un problema crescente»

Sono aumentate del 133 per cento le richieste di aiuto alla Caritas per problemi abitativi e alloggiativi. Quasi dieci anni fa, nel 2006, solo l’11,6 per cento delle persone che si rivolgevano ai servizi dell’organizzazione denunciava questo tipo di problemi. Gli ultimi dati disponibili, relativi al primo semestre 2015, invece, parlano di una quota molto più consistente pari al 27 per cento del totale (circa 1/3 delle richieste totali). «L’aumento è stato del 133 per cento, in poco meno di dieci anni di tempo – sottolinea il direttore di  Caritas italiana monsignor Francesco Soddu, in occasione della presentazione, oggi, mercoledì 2 marzo, a Roma, del Rapporto casa 2015 -. È una spia di un problema crescente e soprattutto di un sistema di mercato e di politiche pubbliche con evidenti carenze 175». Secondo Soddu il problema «non riguarda solamente le persone senza dimora o le fasce socialmente più marginali del territorio».

Stando ai dati del 2014, relativi alle mense socio-assistenziali, infatti, la percentuale di persone con dimora che usufruisce di tali servizi è pari al 63 per cento dei contatti e raggiunge il 65,8 per cento se si tratta di mensa a pranzo. «Questo dato è da non sottovalutare. Anzi, costituisce un avvertimento: sono molte le persone che, pur vivendo nella propria casa, con la propria famiglia, utilizzano servizi come la mensa o la doccia della Caritas non potendo più usufruire di acqua calda o di gas nella propria abitazione – spiega Soddu -. Mangiare a mensa, utilizzare la doccia, o chiedere di poter accedere agli empori della solidarietà che diverse Caritas stanno aprendo, rappresenta sì una condizione migliore di chi vive la condizione di senza dimora, ma al tempo stesso è una situazione ai limiti. Questo nuovo fenomeno, frutto della crisi dalla quale a fatica stiamo cercando di uscire, non ha ancora una precisa identità sociologica o statistica. Ma lo sforzo di tutti deve andare nella direzione dello spezzare questo circuito vizioso perché siano affermati diritti certi e servizi prossimi, in grado di aiutare e accompagnare chi si trova in momenti particolarmente difficili».

Secondo il direttore della Caritas «casa non è solo una struttura fisica» ma rappresenta «un luogo di accoglienza, una dimora, un ambiente umano dove stare bene, ritrovare se stessi, sentirsi inseriti in un territorio, in una comunità – sottolinea -. La casa è la ricchezza umana più preziosa, quella dell’incontro, quella delle relazioni tra le persone, diverse per età, per cultura e per storia, ma che vivono insieme e che insieme si aiutano a crescere. Proprio per questo, è un luogo decisivo nella vita, dove la vita cresce e si può realizzare, perché è un luogo in cui ogni persona impara a ricevere amore e a donare amore». Non possiamo negare, aggiunge, che «la casa rappresenta tanto materialmente quanto simbolicamente la condizione di stabilità di una persona e in un periodo di forti accelerazioni e cambiamenti, come quelli che stiamo vivendo, tale accezione non può che esserne amplificata». Per questo l’abitazione e l’abitare andrebbero sempre più intese come un nodo di relazioni, in una rete di relazioni sociali più ampie, sulla base di tre convinzioni di fondo: che casa e quartiere incidono nell’esperienza di benessere e socialità di una persona; che gli spazi urbani e architettonici influenzano la coesione sociale; e infine che gli abitanti di un territorio hanno grande importanza nello sviluppare in modo autonomo e attivo percorsi di socialità e di integrazione.

Infine Soddu ha ricordato l’impegno della Caritas nel settore abitativo, con 87 centri che offrono diverse forme di attività e servizi di social housing: sportelli di orientamento, strutture di accoglienza di varia dimensione rivolte a coloro che non dispongono di un tetto per la notte, case di accoglienza per genitori separati, fondi di garanzia per l’accesso ad abitazioni in affitto, esperienze di co-housing rivolte a più famiglie che condividono problemi di alloggio, sostegno per l’auto costruzione, recupero a fini sociali di beni immobiliari di proprietà religiosa. Importante anche il ruolo dei Centri di Ascolto (diocesani o parrocchiali che siano).

«I dati presentati quest’oggi devono costituire un’occasione per rivedere e riflettere sulla capacità dei nostri servizi di intercettare nuovi bisogni, di adeguarsi al mutamento dei fenomeni di povertà e di fare rete per non disperdere energie preziose e puntare all’efficacia degli interventi – conclude Soddu -. In quest’ottica, il ruolo di chi opera in questi luoghi è fondamentale per la vita delle persone che vi si rivolgono. Può dare o togliere speranza, può sostenere o involontariamente allontanare, può semplicemente distribuire tessere e permessi per accedere a servizi oppure può costruire relazioni per riavviare percorsi di vita, può essere in grado di coordinare forze e risorse differenti (pubblico, privato, associazioni di volontariato, singoli cittadini) per sostenere, accompagnare la persona, farla uscire o non farla cadere nel tunnel della povertà. Per un cristiano, si tratta di rispondere al comando evangelico dell’amore verso i fratelli; per un cittadino, si tratta di adempiere al dovere di solidarietà sociale sancito dalla nostra Carta costituzionale».

2 marzo 2016