63 ospedali attaccati per 94 volte, di cui 12 completamente distrutti; 23 medici uccisi e 58 feriti. È il bilancio del 2015 di Medici senza frontiere in siria, dove ogni 3 vittime si contano almeno 1 donna o 1 bambino: cifre che oscillano tra il 30 e il 40% di un totale pari a 7.009 morti, cui si aggiungono 154.647 feriti. È di ieri, giovedì 18 febbraio, a Ginevra, la conferenza stampa dell’organizzazione, nella quale la presidente internazionale Joanne Liu ha tuonato: «La Siria è una trappola mortale». Ha riferito di «attacchi incessanti, brutali e mirati contro i civili. L’assistenza sanitaria – ha spiegato – è nel mirino di bombe e missili. Milioni di persone devono fuggire per la vita. Altre non possono: sono bloccate da frontiere chiuse».

Parole che non conoscono esitazione, quelle di Liu. «Voglio essere chiara: gli attacchi contro i civili e gli ospedali devono cessare». Parole che denunciano e risvegliano la comunità internazionale. «I membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, quattro dei quali sono attivamente coinvolti nella guerra in Siria, devono rispondere del loro fallimento nell’adempiere alle loro più banali responsabilità verso i civili». Le stesse risoluzioni del Consiglio, ha rammentato, proibiscono gli attacchi contro i civili, gli attacchi contro le strutture sanitarie, le tattiche di assedio che costringono le comunità alla fame, «eppure è esattamente così che questa guerra viene condotta con la loro partecipazione».

Ai Paesi confinanti che, «come la Turchia, hanno accolto tanti rifugiati», va la gratitudine della presidente di Msf; agli altri, a quelli coinvolti nelle coalizioni militarmente attiva in Siria, la richiesta di impegnarsi per «garantire un passaggio sicuro e un’accoglienza dignitosa alle persone in fuga per la loro vita» e «supportare i Paesi confinanti con la Siria affinché possano ospitare il maggior numero di siriani».

19 febbraio 2016