Papa Francesco e il patriarca Kirill uniti dall’ecumenismo del sangue

In nome dei cristiani perseguitati i vescovi russi hanno chiesto di mettere da parte i dissidi per camminare insieme a Roma sulla via della pace

In nome dei cristiani perseguitati i vescovi russi hanno chiesto di mettere da parte dissidi e incomprensioni per camminare insieme a Roma sulla via della pace

Il Papa di Roma che incontra il patriarca di Mosca e di tutte le Russie è una di quelle notizie che lasciano con il fiato sospeso tanto sono al di sopra di ogni più razionale e lucida aspettativa. Sono eventi che irrompono nella storia e sono destinati a lasciare un segno per i secoli. Ma anche se appaiono come meteore di luci che attraversano i cieli, sono incontri per nulla improvvisati, frutto di un lavoro costante e paziente compiuto nel corso degli anni dalle diplomazie. Molti dei protagonisti di questa storia sotterranea, mai interrotta, di fraternità e riconciliazione oggi non ci sono più.

Sono anni, forse decenni, che in maniera pressoché periodica i giornalisti bussavano alle porte di Roma e di Mosca per chiedere quanto fosse vicino il giorno di un incontro tra i primati delle due Chiese. Era il sogno di Giovanni Paolo II ma anche dell’allora patriarca Alessio II. I problemi che appesantivano i tavoli di dialogo bilaterale non erano tanti. Forse erano anche sempre gli stessi ma erano pesanti come macigni, a livello soprattutto psicologico. Accuse di proselitismo, la questione dei greco-cattolici e poi negli ultimi due anni la “rivoluzione” ucraina che ha incrinato ulteriormente i rapporti della Chiesa cattolica con la Chiesa ortodossa di Russia. Problemi di natura ecclesiale ma anche politica che hanno sempre accompagnato e disturbato nel profondo le relazioni  tra i rappresentanti delle due Chiese.

Ma poi è apparso all’orizzonte un Papa che arrivava dall’altra parte del mondo. Papa Francesco è argentino e rispetto a Giovanni Paolo II è sicuramente più libero di muoversi tra le strade intricate di una Europa che per secoli è stata il palcoscenico di tutte le divisioni dei cristiani. Quando ad Istanbul Papa Francesco ha incontrato il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, ha chinato su di lui la testa. È stato un atto forte di umiltà che ha provocato, soprattutto nel mondo ortodosso, un’onda d’urto potente che ha bussato in nome di una riconciliazione possibile alle porte di tutti i patriarcati presenti sulla terra.

Talvolta la storia prende svolte che sono talmente inaspettate da essere addirittura ironiche. Vale il detto che la realtà spesso supera la fantasia. E la scelta di Cuba come sede dell’incontro dei due primati è una di quelle notizie che fanno sorridere e riscaldano il cuore. E se poi dietro alla scelta di Cuba appare un presidente come Raul Castro che ad un certo punto, lo scorso anno, ha fatto da spola tra Roma e Mosca, allora anche l’osservatore più severo alza le mani e si arrende alla realtà.

D’altronde, si sa che il dialogo ecumenico è così. Non dipende dalle “previsioni” più fredde. Viaggia nell’imponderabile. Per questo il movimento ecumenico nasce e si sviluppa attorno alla preghiera per l’unità piena e visibile delle Chiese perché sa che questo traguardo – semmai un giorno sarà raggiunto –  non sarà merito di un lavoro di diplomazia e di accordi politici ma opera attesa ed inaspettata dello Spirito che lavora nella storia.

Ma dietro l’incontro di Cuba, c’è un altro risvolto importante che ha pesato, e fortemente, sulla decisione di realizzarlo. Ed è «il genocidio dei cristiani» che ogni giorno, da anni, viene perpetrato per mano dell’estremismo, soprattutto nella regione del Medio Oriente. È in nome dei cristiani perseguitati che i vescovi russi riuniti ai primi di febbraio a Mosca, hanno chiesto di mettere da parte dissidi e incomprensioni  per camminare insieme a Roma sulla via della pace. L’incontro di Cuba porta dunque il “timbro” del dolore patito da un popolo e si realizza sotto l’egida di quell’ecumenismo di sangue tante volte invocato dal Papa Francesco. (M. Chiara Biagioni)

9 febbraio 2016