È ancora provvisorio il bilancio delle vittime dell’attentato di ieri, mercoledì 20 gennaio, all’università di Bacha Khan, nel nord ovest del Pakistan, nella cittadina di Charsadda: si parla di almeno 30 morti, per lo più studenti ma anche 4 dei terroristi, e oltre 60 feriti. L’attacco, a un anno dall’attentato alla scuola militare di Peshawar, dove trovarono la morte oltre 150 persone, è stato rivenditato dai talebani pakistani, che hanno avvertito che porteranno ulteriori assalti a unviersità, collegi e scuole, soprattutto appartenenti all’esercito.

Ferma la condanna della Chiesa cattolica pakistana, che «esprime piena solidarietà alle vittime e preghiere perché prevalga la pace nel Paese», ha dichiarato all’agenzia cattolica asiatica Ucanews padre Emmanuel Yousuf, direttore della Commissione nazionale Giustizia e Pace. Sulla stessa linea anche il vescovo di Peshawar Humphrey Peters: «Siamo solidali con le famiglie degli studenti e dei membri della facoltà uccisi nell’attacco». Per la Chiesa anglicana è l’arcidiacono Samule Pervaiz Asghar a raccontare all’Agenzia Fides che «il terrorismo è una piaga in Pakistan e in tutto il mondo. Siamo sconvolti e senza parole. Condanniamo questa violenza insensata. Come cristiani siamo un popolo che cerca di costruire pace e armonia nella società . Siamo convinti che in Pakistan questa sia la nostra missione. Usiamo anche l’arma della preghiera: preghiamo anche per i terroristi, che Dio illumini le loro menti, perché abbandonino la violenza contro innocenti».

Significativa, secondo Ghulam Dastagir, giornalista e intellettuale di Peshawar, membro della ong Human Rights Commission of Pakistan, la scelta degli obiettivi. «Si intende colpire simbolicamente un istituto di istruzione. I talebani nella regione hanno già distrutto in passato oltre 400 scuole. Oggi cercano visibilità», commenta a Fides. E colpiscono bersagli «soft», con meno disposizioni di sicurezza rispetto alle basi militari, come, appunto, scuole e università. Per Dastagir è una questione interna al Pakistan e non legata alla Stato islamico, come dimostrerebbe il fatto che i talebani che hanno rivendicato l’attentato non hanno proclamato alcuna comunanza ideologica o strategica con l’Isis.

«Per combattere il terrorismo – conclude il giornalista – urge una strategia complessiva e più efficace dello Stato. La società civile, le chiese, le istituzioni religiose possono dare un supporto con marce pacifiche, veglie di preghiera, con un’opera di sensibilizzazione culturale. Ma una risposta concreta spetta al governo».

21 gennaio 2016