Rifiuti: l’allarme per Malagrotta

A lanciarlo è la Commissione parlamentare di inchiesta, segnalando gravi danni alla salute e all’ambiente. La missione del generale Vadalà per la bonifica. Mancano monitoraggi aggiornati

È allarme per i gravi danni all’ambiente e alla salute provocati dalla discarica di Malagrotta, l’enorme impianto, il più grande d’Europa, che per decenni ha ammassato gran parte dei rifiuti di Roma: circa 5mila tonnellate al giorno per 43 anni fino al 2013, una montagna di 80 milioni di tonnellate. A lanciarlo è la Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti, nella Relazione, depositata pochi giorni fa, dedicata interamente alla situazione a Roma e nel Lazio, le cui conclusioni sono riprese anche nella Relazione annuale. Una conferma della gravità del caso che, scrive la Commissione, ha provocato «danni diretti (salute e territorio)».

L’impianto di Malagrotta è dal 2018 sotto sequestro giudiziario e nel 2022 è stato nominato un commissario straordinario per la messa in sicurezza. Si tratta del generale dei carabinieri forestali Giuseppe Vadalà, che sta già mettendo in sicurezza decine di discariche in tutta Italia, che avevano fatto finire il nostro Paese sotto procedura di infrazione Ue, con multe salatissime di 42,8 milioni ogni semestre. Una missione che il generale e i suoi pochi uomini (appena 15) stanno vincendo e ora tocca a Malagrotta, già finita nel 2016 sotto procedura di precontenzioso. Ma non è solo un’urgenza economica. Perché ai ritardi si somma una scarsa conoscenza della situazione. Lo denuncia con forza la Commissione. «Stupisce l’assenza di qualsiasi recente serio monitoraggio dell’impatto ambientale e delle conseguenze sanitarie che la gestione ha prodotto sugli abitanti dell’area. L’ultimo studio connesso all’impatto ambientale redatto dall’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale del ministero dell’Ambiente) in cui venivano messe in risalto le diverse criticità riscontrate nell’area di Malagrotta è infatti risalente al 2010».

La Commissione ha fatto così degli approfondimenti. I vertici della Asl hanno riferito di «studi epidemiologici di settore condotti con specifico riferimento al sito di Malagrotta» che «hanno attestato effetti sanitari associabili e potenzialmente attribuibili all’inquinamento prodotto nei passati decenni dagli impianti industriali presenti». I dati sono preoccupanti perché, ha comunicato la Asl, «le patologie del sistema circolatorio (donne) e dell’apparato respiratorio (uomini) sono aumentate tra i residenti nell’area più prossima agli impianti. Per le patologie tumorali, si osserva tra le donne un eccesso di tumore della laringe e della mammella nelle zone più prossime. Rispetto a coloro che abitano lontano dagli impianti dell’area, i residenti più prossimi ricorrono più frequentemente alle cure ospedaliere, in particolare per malattie circolatorie, urinarie e dell’apparato digerente». I monitoraggi svolti da Arpa Lazio (l’Agenzia regionale per l’ambiente) hanno accertato «una diffusa contaminazione da metalli e composti organici delle acque sotterranee, sia interne che esterne al polder (il diaframma contenitivo della discarica, ndr); sembrano delineare, con un discreto livello di confidenza, effetti di miscelamento tra le acque sotterranee oggetto di indagine e il percolato di discarica come fonte inquinante». Inoltre «al controllo dello scarico delle acque reflue presso l’impianto di percolato sono state riscontrate diverse non conformità e criticità dal superamento dei parametri chimici, microbiologici ed ecotossicologici».

C’è poco da stupirsi, quindi, se i recenti risultati del monitoraggio chimico del vicino Rio Galeria rilevano la presenza di fitofarmaci e PFOS che determinano una classificazione “non buono”. Dato, questo, che lascia prevedere un risultato finale compreso tra qualità “scarsa” e “cattiva”. Un inquinamento provocato dal «ripetuto superamento dei limiti allo scarico dell’impianto» con «acque reflue non conformi alla normativa». Il generale Vadalà ha tempo fino al 2027 per bloccare gli sversamenti e mettere in sicurezza l’impianto. Ha una dotazione di 250 milioni euro e, visti i precedenti, sicuramente ci riuscirà. Ma per i danni già prodotti le conseguenze peseranno per tantissimi anni sul territorio.

10 febbraio 2025