La Capitale, tra «vita schizofrenica e relazioni imbarbarite»

Giuseppe Roma, per oltre 20 anni direttore del Censis, commenta la Lettera della diocesi alla città. «La dimensione metropolitana inghiotte tutto»

Giuseppe Roma, per oltre 20 anni direttore del Censis, commenta la Lettera della diocesi alla città. «La dimensione metropolitana inghiotte tutto»

Concreta. Attenta ai problemi reali delle persone. Per Giuseppe Roma, per oltre 20 anni direttore del Censis, la “Lettera alla città” che il cardinale vicario e il Consiglio pastorale diocesano hanno indirizzato ai romani è un documento di grande modernità che stimola la riflessione. «L’ho letta con attenzione – dice, mostrando il documento su cui ha segnato degli appunti – e l’ho trovata molto profonda. Sicuramente il suo invito a ristabilire equilibrio nelle relazioni umane è molto importante».

Il cardinale ha ribadito l’importanza di immettere nel tessuto sociale delle energie positive per superare l’anemia spirituale che ha toccato la capitale. Dove bisognerebbe cercare queste risorse?
Per Roma ci vogliono donne quarantenni. Sono più competenti, corrette, capaci e pratiche. È necessario che loro contino di più perché sono portatrici di coraggio, determinazione e creatività. E una maggior trasparenza: ingredienti essenziali per uscire dalla crisi, una maggior trasparenza.

Qual è la generazione più penalizzata?
Sicuramente quella dei quarantenni. È la fascia che ha le potenzialità per dare una guida al Paese. Dobbiamo liberare le loro energie, altrimenti rischiamo di perdere una generazione che ha già pagato molto, perché ha vissuto in pieno la crisi e ha visto sgretolarsi sogni ed aspettative. Rischiano di rimanere schiacciati tra gli anziani che non vogliono perdere il loro potere e i giovani ventenni, che non hanno aspettative e quindi avanzano con più disincanto. Gli anziani generosamente devono lasciare il posto e aiutare con la loro esperienza. Altrimenti si crea un forte conflitto generazionale.

Come usare al meglio le energie sociali?
Dando a tutte le fasce la possibilità di esprimere il loro potenziale. Il valore di un governo locale lo si vede anche da questo. Prendiamo i poveri. Dobbiamo consentire loro di usare al meglio risorse ed energie e non fare assistenza. Bisogna rendere i poveri parte attiva di un’orchestra che suona. La povertà non è una malattia.

Nella lettera si parla di un malessere che si respira nella città. Lei che analisi fa della Capitale?
La dimensione metropolitana inghiotte tutto. È una vita schizofrenica, si abita in un quartiere e si vive in un altro, con dei tempi troppo lunghi per muoversi da un posto ad un altro. Questo avvelena le relazioni. A pagare sono i rapporti interpersonali e la famiglia.

Su cosa bisogna intervenire?
È necessario un profondo lavoro per ricostruire la società che è dominata da forti sentimenti di rabbia. Non solo si devono ridurre i poveri, ma anche i periferici che hanno una povertà intrinseca perché spendono tempo nel traffico e vivono in quartieri che non offrono un’adeguata qualità della vita. Va ripensata la città. Se andiamo a vedere i numeri, Roma, ogni anno, ha una popolazione che aumenta dell’1%. È la quarta città più popolosa d’Europa.

Cosa ha creato questa situazione?
A partire dal 2001 i mercati economici sono diventati globali e non siamo stati in grado di adeguarci. I problemi sono nati quando l’economia urbana non ha seguito i cambiamenti. Basti riflettere su alcuni dati. Dal 1995 al 2001 il Pil a Roma segnava un più 1,8% e il tasso di occupazione più 12%; dal 2001 al 2008 abbiamo avuto un più 1,2% e l’occupazione più 6,2%. Dal 2008 al 2012 si è scesi ad un Pil che segna un meno 0.7% e l’occupazione un meno 5,4%. Quindi negli anni ’90 c’è stato un forte incremento del Pil e dell’occupazione, mentre nel 2000 si è subito un rallentamento causato dagli effetti del mercato globale cui non ci si è adeguati. A questo bisogna aggiungere che non si è creata una classe di persone che ha investito, ma attraverso la spesa pubblica si è creata una falsa occupazione di tipo clientelare. Questo ha penalizzato la competitività delle imprese. Il peccato di Roma è che ha smesso di essere generativa. In vari sensi. Non si è creato lavoro, i giovani hanno trovato le porte chiuse e la demografia si è fermata.

Questo stato di cose quali conseguenze ha avuto sulla vita quotidiana?
Ha avuto effetti pesanti sulle persone e sulla percezione di sé, portando a un imbarbarimento delle relazioni. Non esiste più il rispetto, ma la legge del più forte. C’è un’aggressività latente. Stiamo tornando indietro. Quando si ha meno si diventa più egoisti e meno fecondi. Questo crea tristezza e solitudine.

18 novembre 2015