La famiglia, un diritto anche per i poveri

Nella Capitale il semiario di Caritas internationalis e Pontificio Consiglio per la famiglia. Il cardinale Maradiaga: «Se il bene comune deve essere promosso dai governi allora bisogna aiutare i nuclei familiari a fronteggiare la crisi». Il dramma dei cristiani iracheni

Dalla povertà assoluta delle famiglie cristiane irachene che fuggono dalla persecuzione dell’Is (Stato islamico), alle famiglie africane abituate a conviverci a quelle americane che sperimentano la precarietà, il razzismo, l’emarginazione. Sono tante le storie e le esperienze raccontate ieri, giovedì 18 settembre, nella prima giornata del seminario internazionale “La famiglia: una risorsa per superare la crisi”, in corso a Roma su invito di Caritas internationalis e del Pontificio Consiglio per la famiglia, in vista dell’imminente Sinodo straordinario dei vescovi sulla famiglia voluto da Papa Francesco. Oltre 150 i partecipanti, da tutti i Paesi del mondo, dalla Santa Sede, dalle Caritas, dagli atenei pontifici, dalle congregazioni religiose, dalle associazioni e dai movimenti.

«Aiutare le famiglie ad affrontare la crisi». Ad aprire l’incontro è stato il cardinale Oscar Andrès Maradiaga, arcivescovo di Tegugicalpa e presidente di Caritas internationalis, che ha lanciato un forte appello a favore delle famiglie di tutto il mondo, duramente provate da una crisi economica provocata da un sistema che moltiplica le disuguaglianze e il divario tra ricchi e poveri. «Dobbiamo preoccuparci dei poveri a partire dalla famiglia. Anche loro hanno diritto a creare una famiglia, ad avere le condizioni necessarie per guardare il futuro con speranza. Qualità di vita vuol dire creare le condizioni necessarie per formare una famiglia e sconfiggere la povertà. Come possiamo raccomandare ai giovani di sposarsi e di avere dei figli se non hanno neppure la possibilità di avere una casa, date le condizioni economiche attuali?», ha detto. «Se il bene comune deve essere promosso dai governi allora bisogna aiutare le famiglie a fronteggiare la crisi. Senza la possibilità di uscire dalla povertà estrema non potremo avere famiglie sane».

Disuguaglianze ovunque. «Il demone del “profitto a qualsiasi costo” e del “consumismo senza freni” devasta sia il Nord ricco che il Sud povero», ha denunciato monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia. Un assunto su cui hanno concordato tutti i relatori: «Nessun Paese può ritenere di non avere forti fenomeni di povertà al proprio interno – ha sottolineato il presule -, e l’accrescersi delle disuguaglianze sociali ed economiche sembra una cifra ineliminabile dei processi di globalizzazione». Vale a dire, «i ricchi divengono ancora più ricchi, e i poveri vengono lasciati ancora più indietro». È così che le reti familiari vengono messe a dura prova e fanno fatica. A volte, ha precisato monsignor Paglia, «sono i legami familiari a non durare, generando ulteriore vulnerabilità, domanda di assistenza, fragilità e povertà». La separazione dei coniugi, è noto, genera spesso «un deciso impoverimento economico».

Negli Usa 46,5 milioni di poveri. È sconcertante il dato statunitense di 46,5 milioni di persone sotto la soglia della povertà nel 2012, circa il 15% della popolazione. Un numero pari all’intera popolazione spagnola. A crescere in maniera esponenziale è soprattutto la povertà estrema: riguardava 13,7 milioni di persone nel 2000 (il 5% della popolazione); nel 2012 sono diventate 21,5 milioni (7%). Negli ultimi tre decenni il picco più drammatico della povertà ha riguardato le madri sole: il 30,9% sono sotto la soglia della povertà, con un aumento del 50%. Più del 24% dei 75 milioni di minori americani vive solo con la madre. Ad accrescere la situazione di povertà sono le discriminazioni razziali, l’appartenere a minoranze etniche, l’immigrazione, hanno denunciato le Catholic charities Usa, fortemente impegnate nella lotta alla povertà, chiedendo soprattutto il cambiamento delle politiche sociali. Cifre ed esperienze simili sono state raccontate da Paesi dell’America Latina, dell’Africa, dell’Europa. Tutti costretti a fronteggiare una situazione sempre più difficile per le famiglie, dal 2008 ad oggi.

Il dramma delle famiglie cristiane irachene. Tra le tante testimonianze, la più toccante è stata quella di Lana Snobar, di Caritas Giordania. La Giordania è uno dei Paesi che accoglie il più alto numero di rifugiati siriani dall’inizio del conflitto, attualmente 611mila. Qui entrano 400-1.000 siriani ogni giorno e oltre 200mila aspettano alle frontiere. Dal mese di agosto la Caritas sta ricevendo anche i cristiani iracheni in fuga dagli estremisti dell’Is: oltre 500, ma ne sono attesi circa 3mila. L’organismo umanitario fornisce rifugio nelle chiese locali, scuola e altri tipi di aiuto. Le storie raccontate dalle famiglie sono drammatiche. Nagham e Kamal sono arrivati il 14 agosto insieme ai due figli e ora dormono nel convento melchita insieme ad altre 40 persone. «Non abbiamo più un posto dove andare. Non avevamo scelta, se non quella di fuggire». «Ci hanno dato tre giorni di tempo per andarcene altrimenti ci avrebbero ucciso», raccontava Safwan, fuggito insieme alla moglie incinta. Tutti partiti senza denaro, oro, oggetti, vestiti. «Ci hanno rubato tutto e ci hanno buttato fuori dal Paese perché siamo cristiani». La madre di Nadira ha 75 anni. Con le lacrime agli occhi diceva: «Non ho mai visto nulla del genere nella mia vita. Questa non è la religione, noi abbiamo vissuto sempre insieme, felici e in pace». (Patrizia Caiffa)

19 settembre 2014