Casamonica, tre ville non più “cosa loro”
Riutilizzate per la cittadinanza le abitazioni confiscate in questi anni al clan. Tra queste, la casa di “Pelè”, condannato a 10 anni, ora sede di un progetto per ex ospiti di case famiglia
Via Roccabernarda, quartiere Camporomano, periferia di Roma, lungo la via Tuscolana. Proprio qui, in una via stretta che finisce nella campagna, c’era uno dei regni del clan dei Casamonica. Tante ville, grandi e vistose. Molte erano della “famiglia” mafiosa sinti, originaria dell’Abruzzo, da decenni tra le più forti nella Capitale, violenta e ricchissima. Una strada controllatissima dai mafiosi. Intoccabili. Ora non più. Tre ville, le più lussuose, non sono più loro, confiscate e utilizzate a fini sociali.
Istituzioni e cittadini hanno riconquistato il territorio. A partire dalla villa di mille metri quadri di Giuseppe Casamonica. Lussuosa e abusiva. Sgomberata nel 2013, ma poi vandalizzata e lasciata al degrado. A maggio 2018 la Regione ha chiesto all’Agenzia nazionale per i beni confiscati il passaggio al proprio patrimonio per realizzare, con i cittadini, un progetto di riqualificazione. A novembre la villa è stata abbattuta mentre la piccola dependance ha ottenuto la sanatoria e ospita una biblioteca. È stato realizzato un parco pubblico di 2.500 metri quadrati, con campo da pallavolo e basket e pista di pattinaggio, una grande tettoia per iniziative all’aperto tra gli ulivi secolari. Affidato al Comitato di quartiere, è frequentato da tanti bambini. Tra loro anche il figlio di Guerino Casamonica, detto “Pelè”, in carcere con una condanna a 10 anni per associazione mafiosa, l’ultimo a cui è stata confiscata la villa.
Accanto al cancello la scritta “Villa Sonia”, la moglie di Guerino, anche lei condannata, e “The family Casamonica”. Villa rosso pompeiano con colonne e bassorilievi, sequestrata nel 2020, operazione “Noi proteggiamo Roma” con venti arresti e il sequestro di beni per più di 20 milioni di euro: ville, bar, tabaccherie, stazioni di servizio, terreni e società. «Perché i Casamonica proteggono Roma… Invece hanno stufato…I napoletani vonno entrà… La camorra vo’ entrà a Roma e i calabresi vonno entrà a Roma… Je dà fastidio perché noi proteggemo Roma». Così rivendicava con forza al telefono un esponente del clan. Ma niente hanno potuto contro magistrati e forze dell’ordine.
Oggi è sede di un progetto per neomaggiorenni, ex ospiti di case famiglia, e messa alla prova per adulti imputati impiegati in Lavori di pubblica utilità. Ed è gestito dal settembre 2020 dalla Regione attraverso l’Asp Asilo Savoia. Ha ospitato 11 neomaggiorenni e a oggi vi risiedono 3 ragazzi che saranno presto raggiunti da altri due. Molti di loro grazie al progetto hanno trovato lavoro a tempo indeterminato e vivono in autonomia. Vera antimafia sociale. Quando i promotori sono entrati nella villa hanno trovato 12 bottiglie di champagne da 3.400 euro l’una e in alcuni cassetti i biglietti di ingresso al Casinò di Montecarlo. Tutto è rimasto quasi uguale, quel lusso pacchiano tipico dei Casamonica, dalla cornice imbottita attorno alla tv agli stucchi dorati. Ma nella bacheca del salone alcuni foglietti segnano la nuova vita. “Rinascere dal dolore”. “Futuro”. “Felicità”. “Amore”.
Come nella villa accanto, confiscata nel 2013 sempre a Giuseppe Casamonica, ma sgomberata solo nel 2017 e passata al patrimonio della Regione che ha così potuto emanare un bando pubblico. A vincerlo è stata l’Associazione nazionale genitori soggetti autistici, col progetto “1 casa x 100 progetti per l’autismo. Spazio multifunzionale per persone e famiglie con autismo”. Il primo immobile confiscato ai Casamonica giunto al riutilizzo sociale. E in tanti hanno collaborato: genitori, volontari di Libera e di altre associazioni, scout. E anche i giovani detenuti del “Progetto daje”. Perché la villa dei mafiosi è diventata “casa di tutti”. Ora ospita laboratori di cucina, ceramica, arte e informatica, un centro di ascolto per le famiglie, in collaborazione col Bambino Gesù e l’Università di Tor Vergata.
Simbolo del cambiamento è la rimessa dove il mafioso teneva la Ferrari, non un garage ma un salone con il pavimento in marmi pregiati e lo stemma del “Cavallino rampante”. Ora è sala di incontro, come con i seminaristi del Maggiore che più volte hanno visitato questi beni confiscati grazie al progetto formativo della Caritas che li porta a incontrare tante realtà cittadine, comprese quelle di mafia e di antimafia. Davvero questo territorio non è più “cosa loro”.
17 giugno 2024