Padre Greco, accanto all’umanità ferita dei ragazzi

Don Ceccolini, cappellano a Casal del Marmo, ricorda il predecessore morto a 77 anni, impegnato nel riscatto dei giovani e fondatore, nel 1995, di Borgo Amigò

«Padre, perché lei si è fatto prete?», chiedevano sempre i ragazzi del carcere minorile di Casal del Marmo a padre Gaetano Greco, scomparso lo scorso 3 maggio. «Se non avessi fatto il sacerdote non ci saremmo mai incontrati», era la sua risposta, racconta don Niccolò Ceccolini, l’attuale cappellano del carcere. «È una frase che esprime bene il cuore del suo ministero, l’importanza data a ogni singolo incontro. La consapevolezza di aver ricevuto la missione di portare Gesù ai ragazzi e di trovarlo nei loro volti».

Padre Gaetano, terziario cappuccino dell’Addolorata, nato nel 1947 a san Giovanni Rotondo, è stato per oltre 40 anni il cappellano del carcere minorile di Casal del Marmo ed è stato il fondatore nel 1995 di Borgo Amigò, la casa-famiglia che ospita, con alternative di riscatto, minori e giovani adulti sottoposti a misure alternative alla detenzione. Un’idea nata proprio da un incontro con uno di loro, durante la Vigilia di Natale di molti anni fa. «Erano gli anni ‘80 – racconta ancora don Niccolò -. Padre Gaetano, entrando in carcere, trovò un ragazzo seduto sulle scale. Era stato appena liberato, ma era disperato. “Proprio adesso mi hanno scarcerato. E adesso con chi vado a mangiare?”, gli disse in lacrime. Lui raccontava sempre questo episodio come la scintilla che gli aveva fatto scaturire il desiderio di mettere in piedi una casa dove accogliere i ragazzi. Da lì è nato Borgo Amigò».

Alla fondazione della comunità si aggiungono altre opere di bene rivolte ai giovani, come il progetto Boomerang a Bastogi o l’apertura del Pastificio Futuro (inaugurato nel 2023) all’interno del carcere minorile di Casal del Marmo, che offre lavoro ai ragazzi. «Il Signore ci ha donato un grande uomo – aggiunge don Niccolò -. Prima di essere prete era un uomo. Una persona capace di abbracciare le umanità ferite dei ragazzi che incontrava in carcere, senza scandalizzarsi di nulla, avendo tanta pazienza nell’accompagnarli e trovando le chiavi giuste per rimetterli in moto. Ho visto in lui una forma di vita sacerdotale realizzata, un uomo contento di donare la sua vita per ridare speranza ».

L’insegnamento più importante che si porta dietro nella sua missione di cappellano? «Che il carcere innanzitutto richiede delle persone autentiche, vere – risponde il sacerdote -. Che non è il luogo del fare, ma il luogo dell’essere». Don Niccolò conclude il suo ricordo raccontando ciò che padre Gaetano gli raccomandò all’inizio del suo impegno in carcere. «Fu una frase molto provocatoria, di sfida: “Se sei venuto a cercare un posto dove riposare, hai sbagliato tutto”, mi disse. “Se sei venuto invece a trovare un luogo dove imparare che cosa sia la paternità, non ce n’è uno migliore”. Lì per lì non capii, ma poi questa promessa è diventata realtà».

13 maggio 2024